Una vera scrittrice… (prima parte)

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10 cose (+1) che una vera scrittrice fa

Sono arrivata quasi a quota 200 articoli sul blog e il mio primo libro compie fra poco il suo nono mese di vita, posso quindi definirmi una scrittrice? Non so, perché non mi è affatto chiaro quali requisiti debba soddisfare una persona, per essere ammessa nel club degli scrittori. Io mi sento più una scribacchina e il ripostiglio delle scope da cui scrivo, non è certo un luogo romantico. Quali che siano le qualità della vera scrittrice, io non sono certa di possederle. A dire il vero, non so se le possiederò mai.

Per l’idea che mi sono fatta, una vera scrittrice deve essere una persona tormentata, con una biografia affascinante e, se donna, tendenzialmente belloccia. O dovrebbe possedere per lo meno un certo non so che. Io non ho nessuna di queste caratteristiche. Eppure, in questi mesi, credo di aver intuito qualcosa sul curriculum vitae e la dotazione minima della perfetta e vera scrittrice. Secondo me, deve rispondere a 10 +1 requisiti!

Una vera scrittrice è sempre pronta agli imprevisti!

Poiché la vita della vera scrittrice è infarcita di episodi avventurosi al limite della fiction, lei è abituata a fronteggiare ogni imprevisto, senza che ciò scompigli nemmeno un capello della sua sempre perfetta messa in piega. Ora, al di là che il mio nome e “perfetta messa in piega” nella stessa frase sono un non senso (il mio ultimo parrucchiere si è arruolato nella legione straniera, per disperazione), resta il fatto che gli imprevisti mi sconvolgono eccome. L’imprevisto più grande capitatomi è stata la telefonata di un giornalista importante. Voleva intervistare me (proprio me, segnatevelo) mentre ero in viaggio in treno.

Capirai che, quando un professionista di quel calibro si interessa a una scribacchina del mio, non è il caso di stare a sottilizzare sulle circostanze. O rimandare. Sono treni che non ripassano (scusate il gioco di parole). Per quello, visto il rumore di fondo della carrozza (siamo italiani, mica svizzeri) mi sono spostata in un luogo più intimo e appartato. E quale luogo esiste di più intimo e appartato su un treno italiano, se non la toilette? Per questo, ho rilasciato la mia intervista a un network prestigioso, fissando il lavandino di un freccia rossa.

La vera scrittrice ha un book

Hai presente il book? Per quelle della mia generazione è un termine familiare. Noi, cresciute all’ombra delle super top model anni 80 e 90, ce lo ricordiamo bene. Tutte ste sgnaccherone avevano sempre una storia in cui erano diventate famose per caso. Infatti, solo per caso e forse per noia, avevano posato per un book, una raccolta di fotografie. Ovvero avevano pagato un fotografo professionista, che le aveva immortalate su un set, con lampade, luci, filtri e scenografia. Ma così per gioco. Senza nessun fine. Poi avevano sbadatamente dimenticato sto prezioso book sul sedile della metropolitana, al parco o sulla scrivania di qualche talent scout della moda. Così, i loro scatti iconici avevano garantito loro contratti pubblicitari multimilionari con marche famosissime di abbigliamento.

Anni dopo, intervistate sugli inizi della carriera, le sgnaccherone, ormai miliardarie, confessavano candidamente la storia del book, a cui tutti fingevano di credere. Perché -diciamoci la verità- senza qualche bella foto, primo piano o mezzo busto o figura intera, non ti si fila nessuno. Ora come allora. Ecco, anche la vera scrittrice dovrebbe possedere un book.

Ma non per caso. Per necessità. Infatti, prima o poi nella sua carriera, arriverà una rivista, un blogger, un giornalista che, dopo aver recensito il suo libro o averle fatto una intervista, le rivolgerà la fatidica domanda: mi manda una o due foto da pubblicare? Cosa che ti sprofonda nel panico, perché solo allora ti accorgi che le foto che non sai quali foto tue potresti davvero diffondere alla carta stampata o al web. Tolte un paio di istantanee dell’asilo, quella istituzionale della laurea con la tesi in mano e quella delle nozze, hai sì e no due scatti decenti. Fatti al mare, quando eri un minimo abbronzata. A patto di scontornarle, ste foto, perché sullo sfondo si vede la tipica famigliola italica, intenta a consumare lasagna e arrosto con le patate sotto l’ombrellone. in una torrida domenica d’agosto.

Una vera scrittrice ha sempre qualche aneddoto particolare

Una cosa che capisci subito è che, nel tuo nuovo ruolo, hai subìto una metamorfosi. Non già da comune mortale a scrittrice, quello sarebbe il meno. No. Tu attuerai una transizione da persona a personaggio. Proprio così. Perché il lettore, il critico letterario, la giornalista, il blogger lo danno per scontato. Si aspettano che tu abbia viaggiato sull’orient express, fatto il militare a Cuneo, guidato un cargo battente bandiera libanese.

Vogliono essere avvolti nel tuo storytelling esistenziale e scoprire che sei un autore bello e dannato (o semplicemente dannato), pronto a scrivere pagine meravigliose, ma solo dopo aver alzato un bel po’ il gomito. Oppure un’autrice misteriosa e tormentata. Nel topos narrativo del vero scrittore (o della vera scrittrice), ci deve sempre essere qualcosa di inatteso, esotico, fuori dalle righe. Meraviglioso se tu avessi un callo che s’infiamma quando hai l’ispirazione o una specie di disturbo ossessivo compulsivo che ti porta a contare i quadretti sul blocco degli appunti che usi per le bozze delle tue opere.

E allora una come me, una che fa tre pasti al giorno, lavora cinque giorni su sette, fra i programmi del weekend include soprattutto il bucato dei bianchi e dei colorati, non ha molto appeal. Bisogna inventarsi un qualche trauma adolescenziale, un tic curioso, un qualche disagio fisico o mentale. La normalità non piace né incuriosisce.

Una vera scrittrice ha sempre la manicure perfetta

Provare per credere. Non è una frivolezza. E’ questione di sopravvivenza. Una vera scrittrice non si mangia le unghie. Non va in giro con lo smalto sbeccato o le cuticole spesse come tronchi d’albero. Invece, una scrittrice farlocca (come me) prende atto della sua farloccagine proprio quando le sue mani sono in primo piano. E lei si accorge che fanno pietà. E quindi: ogni volta che un ignaro e ammirato lettore, a un firmacopie, ti chiede di autografargli il libro. Che non è per lui, ma per la fidanzata, la zia, la mamma, l’amico, il fratello. E tu hai quelle mani che, mamma mia, non sai dove nascondere.

Oppure, durante una diretta web, quando, al tuo solito, ti metti a gesticolare come un mimo e le unghiette terrificanti sono visibili in mondo visione. O quando, in TV, la conduttrice ti chiede carinamente di sollevare il tuo libro a favore della telecamera. Ma la cosa che si nota di più è lo smalto scheggiato o venuto via in tre dita su cinque. Una bella manicure vale più di cento ottime risposte alle domande dell’intervistatore. Ricordalo.

Una vera scrittrice ha sempre un eremo in cui rinchiudersi

Procurati un pied-à-terre. Non ti servirà come scannatoio, ma come spazio silenzioso e tranquillo per le interviste. Le dirette sui social. Le dirette in TV. Le interviste via podcast. Perché, per la legge di Murphy, se non hai un posto in cui chiuderti a chiave, sprangare la porta e metterci contro almeno un paio di mobili, stai pur certo che qualcuno irromperà nella stanza. Aprirà con veemenza la porta e urlerà. No, non farà un gesto silenzioso e misurato per segnalare la sua presenza. Non dirà pacatamente: “per favore posso richiamare la tua attenzione per un attimo?”.

No. Strillerà come un’aquila, qualcosa di inenarrabile. Come minimo: “maaaammaaaaa! Sono finite le mutandeeeeee!”. Qualcosa che ti farà desiderare ardentemente che si apra una profondissima voragine proprio sotto ai tuoi piedi, che ti inghiottisca. Fino alle profondità della terra o mille mila leghe sotto i mari, che Jules Verne spostati proprio. Una vera scrittrice ha sempre un eremo in cui rinchiudersi e tenere il mondo fuori. Tu, alla peggio, chiuditi in bagno.

Informati sempre su come si svolge l’intervista

Fai tante domande. Come verrai intervistata. Dove. Come ti devi vestire. Informati se ti truccano loro o arrivi già truccata. Non fare come me che, per la prima intervista in TV, mi sono presentata acqua e sapone. Chissà perché avevo dato peso alla leggenda metropolitana in base alla quale in TV ci sia un esercito delle meglio truccatrici di sto mondo, tutte per te. Non è così. Forse è vero a Hollywood. Oppure è solo perché non sei una vera scrittrice.

Le truccatrici professioniste della TV non hanno tempo da perdere con la tua cute mista, coi tuoi banali poli dilatati. E credimi, acqua e sapone è bello solo nei film. Quando la tizia sedicente acqua e sapone ha comunque sul viso uno strato di tre millimetri di cerone, un contouring che manco Leonardo da Vinci e un mascara allunga ciglia di quelli effetto stroboscopico. Perché per te comune mortale, acqua e sapone vuole solo dire che si vedono le tue occhiaie blu e il tuo colorito grigio topo. A me è successo due volte: la prima in Tv e la seconda volta quando mi ha intervistato una radio ed io ero convinta che fosse solo un collegamento audio e invece taaac! Si sono collegati via Skype, proiettando il mio viso struccato in technicolor, con tanto di brufolo sulla guancia. (segue)

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