Intervista sulla gratitudine a Padre Enzo Vitale

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  1. Parliamo di gratitudine: l’antico Testamento, il Vangelo, le lettere di San Paolo, i testi sacri sono pieni di riferimenti alla gratitudine. Ma di cosa si tratta? Proviamo a darne una definizione?

Tutte le volte che si parla di gratitudine (pensando che il termine ha la radice nella parola “gratis”) mi viene in mente un episodio di quando avevo circa 12-13 anni. Tornando da un allenamento, uno dei miei responsabili, un grande campione dello sport, riaccompagnandomi a casa mi disse chiaramente che io non dovevo ringraziarlo, perché per lui era un piacere aiutarmi. Testardo quale ero e ancora sono, non ho mai mandato giù quello che era quasi un ordine…

E continuai a dirgli grazie. E mi sono sempre chiesto: «perché non voleva che lo ringraziassi?». Non ho mai trovato risposta fin a quando ho capito che sbagliava! Aveva torto, torto marcio!

La gratitudine è un sentimento dell’animo che si impara a coltivare sin da piccoli. A me è stato seminato nell’animo dai miei genitori.

Poi, però, con il passare degli anni, invecchiando, ho anche compreso che il paradosso della gratitudine (che, come si diceva, è apparentato con “gratis”) è nel suo animo più profondo.

Si è portati a credere, sbagliando, che ciò che è gratis non costa nulla. Mentre è vero l’esatto opposto: ciò che è gratis, lo è, perché sarebbe impossibile pagarlo.

Pensiamo, ad esempio, al dono della vita: si nasce “gratuitamente”. Nessuno può pagare la propria esistenza. Purtroppo, però, oggi viviamo nel mondo dell’assurdo in cui si pretende di imporre uno pseudo diritto “a non nascere”. Quando, ad esempio, si viene al mondo con qualche malattia o lieve imperfezione alcuni credono di poter pretendere il risarcimento per una vita che chiesta. E tutto ciò perché si sono innalzati i desideri al livello dei diritti (oggi “avere un desiderio” è pari ad “avere un diritto”). Quindi, si pretende di dare un prezzo a tutto – vita compresa – mentre ci sono cose che non hanno prezzo.

Nella Sacra Scrittura il punto centrale sulla gratitudine resta l’invito di san Paolo: «Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie. Questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito» (1Ts 5,17-19). Un atteggiamento, quello della gratitudine, che si collega con un particolare insegnamento di san Tommaso d’Aquino secondo il quale non c’è atto di bontà compiuto in natura che non sia mosso dallo Spirito Santo. E la gratitudine è bontà verso l’altro per un bene ricevuto. A volte come corrispondenza, altre volte come riconoscenza: non a caso san Tommaso usa indistintamente “riconoscenza” e “gratitudine” (ne parla nella Summa Teologica, II-II, 106).

  • Oggi siamo meno grati di quello che si dovrebbe? La gratitudine è un sentimento sottovalutato?

L’ego ci porta a credere che siamo il centro del mondo. Tutto deve ruotare attorno a noi. Sembra, quasi, che siano gli altri a doverci ringraziare perché esistiamo…

E invece, se ci pensiamo, la nostra esistenza dipende dagli altri. Non solo da coloro che ci hanno messo al mondo.

È buona cosa ringraziare, sempre e non solo per una mera forma di bon ton, galanteria o buona educazione. Se si va alla posta, al supermercato, scendendo o salendo dal bus… Insomma, in ogni luogo, anche in tutti quei contesti in cui siamo fruitori di un servizio che ci è dovuto, “perché abbiamo pagato”. E, importante, il “grazie” va detto tra coloro che si amano e che noi diamo “per scontato”. In fondo, la gratitudine è rimedio alla diffusissima malattia figlia dell’egoismo: la superbia.

  • Cosa ci guadagniamo, a essere grati? La gratitudine può trasformare la nostra vita?

Ci guadagniamo la liberazione dall’ossessione dell’aver tutto, sempre e comunque.

Mi fa pensare che molti si lamentino perché il costo della vita sia tanto cresciuto e non si riesca a vivere all’altezza dei propri desideri. La lamentela tipica è “si stava meglio prima … adesso non è possibile…”. In realtà, ad esser cambiati sono gli standard di vita. Viviamo secondo un modello dettato dal pensiero dominante: “se non hai questa cosa (e qui ognuno ci metta quello che gli viene in mente) non sarai felice”.

La persona grata, al contrario, vive con maggiore serenità, accontentandosi. E trasmette serenità!

Papa Francesco, nell’Udienza Generale del 30 dicembre 2020, diceva: «Non tralasciamo di ringraziare! Se siamo portatori di gratitudine, anche il mondo diventa migliore, magari anche solo di poco, ma è ciò che basta per trasmettergli un po’ di speranza».

L’altra grande assente dei nostri giorni (notiamo che il Papa pronunciava queste parole nel pieno della pandemia). In qualche modo, potremmo quindi dire che la gratitudine è metro di misura, criterio di vita, paradigma dell’intera esistenza. Chi vive in modo grato, vive in modo felice. Mentre, al contrario, chi tutto pretende, di nulla riesce a godere. Perché l’insaziabile avidità scatena nel cuore umano sentimenti di tristezza, pesantezza e negatività dovuti all’egoismo che anima chi vuole tutto ad ogni costo.

In questo senso noi tutti, se siamo onesti con noi stessi, abbiamo tante ragioni per essere grati. Il ritenere altri più fortunati di noi (che sembra anche giustifichi la lamentela cronica di chi proprio non riesce a godere di niente nella vita) è solo manifestazione di un animo non in pace con sé stesso, con gli altri e, soprattutto, con Dio.

  • La fede predispone a una maggiore inclinazione alla gratitudine? O non c’è differenza fra credenti e non credenti?

So che quanto sto per scrivere è contrario al politically correct, ma sono convinto – senza con ciò ritenermi minimamente superiore ad altri – che l’essere cristiano (l’essere credente) dia una marcia in più. È dell’esser credente proprio esser grato. Se penso, ad esempio, all’esser stato perdonato per tutte le volte che ho peccato c’è da impazzire di gioia… e di gratitudine.

Forse non ci riflettiamo molto, ma tra le novità introdotte nel mondo dal Cristo c’è il perdono. E Cristo non perdona in cambio di qualcosa.

“Per-dona”, fa un dono perché io valgo di più della colpa che ho commesso.

Ma, attenzione! Noi siamo capaci di perdonare solo e soltanto se per primi siamo stati perdonati. Se per primi riusciamo a capire che abbiamo ricevuto qualcosa che non meritavamo e, per questo, siamo grati. Chi non ha fede ha più difficoltà nel riuscire a cogliere questa bellezza. Chi è cristiano ed è abituato a confessarsi sinceramente (non per mera abitudine) sa quanta pace si riceve nel perdono sacramentale riflesso, moltiplicato all’infinito, del perdono umano. Nella confessione sacramentale il perdono che riceviamo è ottenuto grazie al sangue di Cristo. Ecco perché il vero cristiano, chi segue seriamente il Cristo, vive di gratitudine.

Sempre lo stesso Papa Francesco, nella stessa udienza di cui poco sopra, ricordava che il centro stesso della fede, l’eucaristia, è anche (non solo) ringraziamento. Se un cristiano vive un momento di sconforto, anche profondo, non deve fare altro che prendere tra le mani il crocifisso e dire a se stesso: «io valgo il sangue di quest’Uomo». E, capite bene, chi non ci crede non ha questa possibilità. Ognuno di noi vale il sangue di un Dio.

  • È possibile “allenare” il cuore alla gratitudine? Se sì, come? 

Forse più che di allenamento è necessario parlare di educazione, altro punto su cui siamo difettosi: l’episodio che raccontavo all’inizio è da leggersi in quest’ottica.

Il mio amico non aveva colpa nel dire che non era necessario ringraziare: era stato educato così. Io, forse, sono stato più fortunato perché qualcuno mi ha seminato nel cuore la consapevolezza che niente è scontato nella vita. Poi, come ogni virtù, una volta acquisita, vivendola resta viva: e non è un gioco di parole. Può, nel tempo migliorare, affinarsi e, in un serio cammino spirituale, portarci ad una maggiore delicatezza d’animo, una spiccata consapevolezza interiore e un modo di vivere sempre più grato.

  • Gratitudine nella vita di coppia e in famiglia: che ruolo può avere questo sentimento nelle relazioni più strette?

Se, come si è detto, la gratitudine è fondamentale in ogni ambito del vivere civile. Lo è soprattutto tra le mura domestiche, nei confronti di chi si ama.

Il rischio, per noi tutti, è sempre quello di vivere il Vangelo “stile Mafalda”: «Io amo tutto il mondo… sono quelli che mi stanno accanto che non sopporto». Invece, come dice una mia cara amica, l’atteggiamento cristiano è un altro: «Io non ti amo… di più: ti sopporto!». E, anche se così detta sembra una battuta, la misura dell’amore vero passa attraverso la sopportazione dei limiti altrui.

Se poi siamo sinceri con noi stessi, nella misura in cui impariamo a saperci prendere alla leggera, ad accogliere i nostri limiti (sempre però con la tensione a superarli e non a trattenerli come scusa per permettersi di tutto “perché sono fatto così”), saremo anche in grado di accogliere i limiti altrui. Le persone che vivono gomito a gomito con noi diventano una “palestra”, dove ci possiamo allenare nell’esercizio della gratitudine. Molto triste l’ambiente familiare in cui non si è capaci di ringraziare per il dono altrui.

  • Come si misura la capacità di vivere la gratitudine negli ambienti a noi familiari?

Semplice! Dalla preghiera che facciamo per gli altri, dal tempo che dedichiamo al Signore nel chiedergli di benedire, accompagnare, realizzare, pacificare, gli animi di chi vive con noi…

Non lo facciamo?

Allora vuol dire che non abbiamo mai ringraziato abbastanza per il dono di averli ricevuti perché – anche se fatichiamo a crederlo – ogni essere umano è un dono. E per noi, sono dono, coloro che ci vivono accanto.

P. Enzo Vitale è un sacerdote, religioso dell’Istituto Servi del Cuore Immacolato di Maria. È segretario della Società Internazionale Tommaso d’Aquino (SITA) e collabora come recensore con il portale familycinematv. Ha conseguito due Master: Bioetica dell’Area Materno Infantile (in collaborazione fra LUMSA e Ospedale Pediatrico Bambin Gesù) e Bioetica e Formazione (Università Cattolica e Pontifico Ist. Teol. Giovanni Paolo II Matrimonio e Famiglia). Ha pubblicato «Dammi dei figli, se no io ne muoio» (Gn 30,1). Dal desiderio di maternità alla maternità surrogata (Tau Editrice, 2022) e L’assistente sessuale per le persone disabili. Analisi dei profili bioetici (Armando Editore, 2021). Attualmente è dottorando in teologia morale presso la Pontificia Università della S. Croce.

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