Lo smalto come metafora della vita

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La Tribù della riga nera

A proposito dello smalto, devo farvi una confessione. Per parecchio tempo ho militato nella tribù della riga nera. Proprio così. Mai sentito parlare di quelle persone che, in alcuni momenti, non sanno dove nascondere le mani, perché, sotto l’unghia mal cresciuta, si è accumulata la polvere? Ecco, io ero una di loro.

Ma è stato tanto tempo fa. Errori di gioventù. Ora non è più così. Vado in giro con una piccola limetta di carta nella borsa. Le mie unghie oggi sono cortissime, come i miei capelli. Alla fine, ho trovato l’unico modo per renderli tutti inoffensivi: i capelli, perché da corti non riescono a spettinarsi e incasinarsi. Le mie unghie sono così corte che la polvere non riesce neanche più ad infilarcisi.

Allora ho deciso di fare l’upgrade. La mia fascinazione dell’età aulta si chiama smalto. È quell’oggetto misterioso che distingue, a mio avviso, la vera femmina da quelle che, come me, sono praticone senza molto talento.

Lo smalto come metafora della vita

Mettersi lo smalto è un rito per iniziati. Metterselo bene, intendo. Perché a impiastricciarsi le unghie sono brave tutte. Persino io. Invece un paio di mani di smalto, applicate con tutti i sacri crismi, sono veramente appannaggio di poche. Una buona manicure è un’arte e una verosimile metafora della vita. E vi racconto perché.

La qualità (dello smalto e non solo) fa la differenza

Lo so, tutte vorremmo che lo smalto, comprato da Kiko o sull’isola cosmetici del mercato, in fondo in fondo fosse un buon prodotto. Questo ci libererebbe dal senso di colpa di comprare cosmetici più costosi. Se non fosse che i cosmetici costosi, seppure al netto del brand, del valore della marca, delle spese in pubblicità, influencer, campagne stampa ecc sono oggettivamente migliori. E lo dico con dispiacere.

Chiunque si sia arrischiata nella folle impresa di spendere venti euro (o qualcosa in più) per uno smalto Chanel, se ne è resa conto. Io, per dire la verità, per anni lo smalto Chanel l’ho per lo più scroccato in aeroporto. Avevo anche creato l’hashtag, come ogni cazzegiatrice professionista che si rispetti: #scroccasmalto.

Mi presentavo con le unghie nude e perfettamente limate, afferravo spedita il tester, e mi dipingevo le 10 unghie del colore prescelto. Il tutto sotto gli sguardi perplessi e talvolta scandalizzati delle commesse. D’altro canto, in un desk cosmetici di un aeroporto internazionale, fra russe truccatissime e (al tempo) danarose e arabe con carta di credito platinum, chi mai avrebbe osato bacchettare una impavida viaggiatrice, che si servisse da sola dei tester? In fondo sono lì per quello, no?

Io li ho provati tutti, gli smalti Chanel. E lo posso garantire. Sono più belli, durano di più, hanno colori con più personalità, rispetto agli smalti da pochi euro. Si parte dallo storico rouge noir. È lo smalto che indossava una Thurman nel film culto di Quentin Tarantino, Pulp fiction e che è regolarmente sold out, esaurito. Da lì si approda alle nuance attuali, in edizione limitata. Nomi che, già da soli, suonano come una poesia: prune dramatique, blanc ècume, clair de lun.

E se Chanel si difende, potete immaginarvi l’upgrade. Ovvero, gli smalti di Yves Saint Laurent. Per non parlare di Dior, che resta – a mio modesto parere -l’inarrivabile. Quindi nello smalto, come nella vita, molte delle cose belle costano care. Il prezzo da pagare è direttamente collegato al valore e all’importanza di ciò che si desidera. A esempio, le relazioni di qualità richiedono un investimento di tempo ed energie. Anche la relazione con Dio. Lo so che parlare di smalto e fare un paragone con la fede può sembrare un azzardo, ma io la vedo così.

Gli idoli del mondo d’oggi sono smalti low cost, a basso prezzo. Dio è Dior. Fa anche allitterazione. Quello che ci dà la relazione con Dio, non ce lo dà nessuno smalto (o simulacro) economico.

Non ci sono cose facili e cose difficili

Questa è una delle massime preferite di mio padre. E una grande verità. Stendere perfettamente lo smalto, in modo omogeneo, senza fare le righe, con il giusto spessore, non è né facile né difficile. Lo devi sapere fare. Se lo sai fare, è facilissimo. Quando lo vedo fare all’estetista, pare veramente un gioco da ragazzi. Peccato che a me il numero di magia non riesca mai. Perché io le righe le faccio. Eccome. E poi ne metto troppo. O troppo poco.

Il che è un problema. Se ne metti troppo, è garantito al limone che si graffierà. Se ne metti troppo poco, non avrai il risultato che desideri: una bella unghia uniformemente colorata dallo smalto, senza che si veda il colore della superficie sottostante. Insomma, come accade nella vita, anche con lo smalto le improvvisazioni non pagano.

Non basta l’entusiasmo né le buone intenzioni. Bisogna essere abili e preparati. Bisogna sapere cosa fare e come farlo. In modo molto simile, nella vita per comportarsi secondo virtù, bisogna saperlo cosa fare e come farlo.

Ci vuole tempo e cura per ottenere bei risultati

Il rito dello smalto inizia da prima di mettere lo smalto. Come ogni donna sa, stendere lo smalto è solo una parte del processo. Un processo lungo e abbastanza articolato. Una routine fatta di rimozione delle pellicine, che sono una delle cose più tenaci e difficili da eliminare. Specie se disponi solo di mezzi di fortuna, come un paio di forbicine. O peggio ancora, se cerchi di strapparle via con e dita (lo confesso, io lo faccio di frequente). C’è una piccola pinza apposita. E no, senza non è la stessa cosa.

Ma non finisce qui. La procedura comprende anche la normalizzazione della cuticola, che è quel pezzettino di pelle che collega il dito all’unghia. La cuticola deve essere bassa. Bassissima. Perché se ci finisce sopra lo smalto, è un disastro. Poi la superficie dell’unghia andrebbe limata, per uniformarla.

E va limato anche il bordo dell’unghia stessa. Per accorciarlo, ma anche per dargli forma. Qui ci sono due scuole di pensiero. Quella di chi ama le unghie a punta o comunque ovali e quella di chi crede che debbano essere rettangolari. In entrambi i casi, modellare l’unghia è un lavoro di perizia, e precisione. Richiede tempo. Dopo aver fatto tutto questo e aver massaggiato la cuticola con una crema che la ammorbidisca, si può cominciare a stendere qualcosa sull’unghia. Lo smalto? Non sia mai. Non scherziamo.

Prima ci va il top coat. Irrinunciabile base trasparente e preparatoria. Le più diligenti, prima ancora ci mettono in rinforzante. Lo so che se è trasparente il top coat può sembrare inutile. Ma così non è. Protegge l’unghia, lo smalto, promette una asciugatura più veloce (che non mantiene). Richiede però a sua volta un tempo di asciugatura. E divide. Perché il top coat è molto divisivo. C’è chi lo venera e chi lo reputa solo una bubbola di marketing per far spendere di più alle donne.

Solo quando sarà perfettamente steso e completamente asciugato, si potrà procedere con lo smalto. Smalto che, per una qualche legge di natura che non è scritta nei libri di biologia, ci mette una vita ad asciugare. Sempre. Di qualunque marca, colore, prezzo sia. Anche se promette una asciugatura rapida. E quindi per la manicure è così. Come per la vita.

Niente scorciatoie comode. Niente alternative facili e veloci. Sempre la cara vecchia idea della porta stretta. Entrarci richiede impegno, perizia, dedizione. Il biglietto d’ingresso va meritato. Sudato fino in fondo. Prendere o lasciare.

Le cose belle finiscono sempre troppo presto (anche lo smalto)

Ci si potrebbe illudere che, dopo questa estenuante seduta di manicure, saremo ricompensati da un risultato durevole e gratificante. E invece no. Se c’è una metafora profana della caducità di ogni cosa, quella è proprio la durata dello smalto. Lo smalto rimane integro e bellissimo per poco tempo. Ci sono donne (io fra queste) che riescono a rovinarlo appena uscite dall’estetista.

Anche le più attente, dovranno arrendersi al fatto che dopo 24, massimo 48 ore, lo smalto si sbecchi. Si righi. Si rovini. Anche se lo abbiamo stabilizzato con l’indispensabile top coat. Anche se sull’etichetta campeggia la scritta: “resistente” o a lunga durata. Lo smalto, come molte altre cose, non resiste all’asperità della vita. Basta lavare un piatto, afferrare con decisione un oggetto, fare una faccenda domestica banale, che l’incanto si rompe.

La magica, sottilissima superficie vetrosa dello smalto, si comporta come ogni altra superficie vetrosa. Si scheggia a ogni minimo impatto. Per questo, inseguendo una idea di durabilità illusoria e innaturale, è nato lo smalto semi permanente. Un mostro. Una sostanza chimica che viene colata sull’unghia e rappresa. E lì rimane, finché non viene fresata via, a forza, per far spazio a una nuova colata. Appena la ricrescita naturale rende la precedente inservibile.

E no, l’uomo non può illudersi di superare la caducità, la finitezza. Le cose belle inevitabilmente hanno una fine su questa terra. Anche su queste unghie. Inutile aggrapparsi al presente, illudendosi che resti immutato. l’unico investimento di lunga durata è quello che possiamo fare guadagnandoci l’eternità, con la salvezza.

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