Tutti pronti a festeggiare l’otto marzo?

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Oggi è l’otto marzo.

Tutti pronti a festeggiare l’otto marzo? Bisogna arrivarci pronti. Perché è una giornata impegnativa. Una ventiquattrore no stop di isteria collettiva, in cui tutti o quasi, si sentono obbligati a dire e fare una serie di cose. Eccole qua:

Vogliamo parlare delle mimose?

Andare a spelacchiare dei poveri alberi di mimosa, col solo scopo di ottenere dei minuscoli ramoscelli fioriti. Alla sera saranno già da buttare via. Ma intanto si possono vendere a peso d’oro, anzi di platino. Perché nella ritualità consumistica dell’otto marzo, il rametto da dieci grammi di mimosa è un imprescindibile. Il minimo sindacale della celebrazione ufficiale. Attenzione, donne, che chi tiene a voi, vi deve portare almeno un rametto di mimosa. Oltraggio e sciagura se non lo fa!

Buon otto marzo!

Sentirsi in obbligo di fare gli auguri a tutte le donne. Amiche, familiari, colleghe anche solo conoscenti. Tutte persone che si suppone dovrebbero sentirsi felici e onorate di riceverne. Auguri di che? L’otto marzo non è il nostro compleanno. Noi siamo donne tutto l’anno. Cosa c’è di speciale da celebrare un singolo giorno? Gli altri trecentossesantaquattro non siamo più donne? O non siamo più da festeggiare?

Le donne sono esseri superiori?

Parlare compulsivamente e insensatamente della superiorità delle donne. Che sono più intelligenti e più brave. Più solide. Magari più buone. Che noia. Ovviamente chi lo dice non lo pensa. Assolutamente. Ma si sente in obbligo di affermarlo, perché è l’otto marzo. Non è vero. E le donne non ne hanno bisogno. Anzi, sono stanche di questa sequela di sciocchezze, dette per la circostanza. Credono di farci piacere, segnando un punto a nostro favore. Come se uomini e donne fossero in gara. Pare essenziale stabilire quale dei due generi sia migliore dell’altro. Come se fossimo antagonisti. Quasi che la vita sia uno di quei reality in cui ci può essere solo un vincitore. E invece possiamo completarci in modo meraviglioso. Non siamo nemici. Siamo stati disegnati con talenti, doni e bisogni che possono perfettamente integrarsi.

Serata solo donne?

Uscire solo fra donne. Una compagnia di settantacinque donne, molte delle quali non si frequentano da tempo. Magari neanche si stanno simpatiche. Come se chiunque, dai cinque anni in su non sapesse che l’amicizia femminile è un’alchimia così difficile, che scatta raramente. Tutte in preda alla smania di divertirsi. Un divertimento stereotipato, fatto di cene scadenti a menù fisso. I locali sono così presi d’assalto dalle baccanti per un giorno, che nessun altro avventore potrebbe neanche avvicinarsi. Cene orrende, completate da spettacoli squallidi con spogliarellisti. Tutte in vena di far gazzarra, come fosse l’ultimo giorno della loro vita di donne. Come se la femminilità, per magia, si dissolvesse allo scoccare della mezzanotte del nove marzo.

Diritti, conquiste e fregature

Parlare dei cosiddetti diritti delle donne. In primis dei diritti riproduttivi. Che vuol dire celebrare il fatto che le donne possano sbarazzarsi dei figli che aspettano. Perché in questo mondo brutto, in cui le donne spesso vengono sfruttate, discriminate, rese oggetto di violenza, pare che il loro nemico principale, il pericolo da eliminare, sia il loro figlio. Quindi celebriamo questo corto circuito emotivo, etico, culturale.

Un altro dei meravigliosi diritti di cui dovremmo bearci, è quello alla carriera. Le donne lavorano tanto, continuano ad essere pagate meno degli uomini a parità di lavoro, spesso sono costrette a mettere da parte i loro progetti di vita, o a ridimensionarli, perché incompatibili con la necessità di lavorare. Oppure devono fare il triplo salto mortale per incastrare tutto. Però la narrazione generale è che tutto questo sia un privilegio, una enorme conquista.

Le donne sono sempre più infelici

Intanto le donne sono sempre più infelici. E questo non lo dico io, su base empirica. Lo dicono dati e studi solidissimi. Forse la vita che stiamo vivendo, si scontra troppo con quello che ci preme davvero. Con la ricerca di senso, che anima tutte le vite.

Emancipazione… è già stato detto?

Parlare di emancipazione. Adesso, io non voglio stigmatizzare il femminismo come il male supremo. Voglio dire, cataclismi, pandemie e guerre sono certamente peggio. Forse, il femminismo ha anche fatto cose buone. Ma questa retorica della emancipazione io non la reggo più. Cosa intendiamo, quando parliamo di emancipazione?

Che ci siamo guadagnate il diritto di andare a letto con sconosciuti, di cui non ricorderemo il nome, la mattina dopo? O quello di essere usate e usare le persone come se fossimo solo corpi, strumenti di piacere? Non esseri umani capaci e bisognosi d’amore, che cercano nell’altro la possibilità di realizzare pienamente se stessi. Di essere felici.

In questo concetto di emancipazione, ci saranno sicuramente gli anticoncezionali. Una violenza che facciamo ai nostri corpi, per privarli della loro naturale, fisiologica, capacità di generare. Perché la natura va bene quando si tratta di comprare frutta e verdura bio a caro prezzo. Che mi raccomando, non abbia tracce di anticrittogamici chimici. Gli anticrittogamici chimici che ammazzino parassiti e insetti non li vogliamo. Tuttavia siamo disposti a imbottirci di ormoni e la riteniamo una grande conquista. Questa la chiamiamo libertà. Invece è strumentalizzazione.

Prima e dopo l’otto marzo

In questo mondo alla rovescia, dove si dà grande enfasi a circostanze su cui ci sarebbe ben poco da festeggiare, io posso solo augurarmi una cosa. Che la dignità e il rispetto delle donne, quelli veri, si affermino realmente e sempre. Anche prima e dopo la giornata dell’otto marzo. Vorrei che le donne fossero libere di dare alla loro vita la forma che desiderano. Di non sentirsi giudicate, di non essere manipolate, di non essere plagiate e convinte ad allontanarsi da sé stesse. Oggi così non è. Adesso, tolta la follia dell’otto marzo, le donne non se la passano bene affatto.

Qualunque scelta farai sarà sbagliata (e usata contro di te)

Se scelgono di avere una famiglia e dedicarvisi, sono antiquate, sbagliate, prive di ambizione. Destinate all’annichilimento. Però, anche se non si fanno una famiglia, che sia per destino o per scelta, su di loro grava un giudizio pesante. Perché sarebbero meno donne, meno di valore, indegne di una vita realmente piena e appagante. E si potrebbe pensare allora che le donne che sono mogli e madri e si realizzano anche fuori di casa, loro sì che abbiano trovato la via per la felicità. Ma non va bene neanche così. Perché poi si insinua il dubbio. Come fanno a essere delle brave madri? E siamo sicuri che lavorino davvero e non siano delle fancazziste? Come fanno a fare tutto?

Sicuri di voler festeggiare l’otto marzo?

Per le donne, oggi, vale quello che il computer Joshua disse al dottor Falken in War games: in questo gioco nessuno è mai vincitore. Non facciamoci abbindolare da tutto questa furia consumistica. L’otto marzo serve principalmente al mondo per farci consumare e spendere e comprare o fare qualcosa che non ci serve, non ci interessa, non ci piace, ma che ci sentiamo obbligate a mettere in scena. Sicuri di voler festeggiare l’otto marzo?

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