L’inclusività “negazionista”
Cosa succederebbe se, in nome dell’inclusività, decidessimo di riscrivere un testo di cento, cinquecento, duemila anni fa? Per farlo, sarebbe necessario cancellare tutto ciò che potrebbe offendere un ipotetico lettore. Anche a costo di negare la realtà. Provate a immaginare una modifica generalizzata di tutta la produzione letteraria che conosciamo. A partire dalle fiabe. Pensate a Cenerentola. Che ne sarebbe della storia, se decidessimo di cancellare l’idea che la matrigna sia “cattiva” e le sorellastre “brutte e antipatiche”. La storia avrebbe ancora senso, privata del suo elemento drammatico, della sua contrapposizione fra la protagonista bella e buona, e gli antagonisti brutti e odiosi?
E la storia di cappuccetto rosso? In fondo, l’intera favola si regge sul contrasto fra la bimba ingenua e innocente, la nonna inerme e il feroce e scaltro lupo. Potremmo immaginare un lupo buono? La favola starebbe ancora in piedi, se il lupo, la nonna e cappuccetto rosso diventassero buoni amici? A chi interesserebbe il racconto delle loro serate d’inverno, seduti di fronte al camino, a sorseggiare tè nero e a mangiare biscotti allo zenzero?
Tutta la storia della letteratura è disseminata di storie che non rispettano l’inclusività
Tutta o quasi la letteratura antica e moderna, è fatta di storie e personaggi che, con l’inclusività, hanno poco o nulla a che fare. I classici, in primo luogo. Pensiamo alle commedie di Plauto. L’avaro della Aulularia, la commedia intitolata Poenulus, che ha come protagonista uno straniero, il Truculentus, letteralmente “zoticone” sono tutti personaggi che, secondo i canoni moderni, potrebbero offendere la sensibilità di qualcuno. E l’Odissea? Come lo vedete lo scaltro Ulisse, che inganna e acceca l’unico occhio del diversamente vedente Polifemo?
E i poemi cavallereschi medievali? Un Orlando Furioso, o una Gerusalemme liberata o la Chanson de Roland, tutte basate sulle battaglie fra cristiani e musulmani in Terra Santa, non toccherebbero l’immenso tabù dei conflitti inter religiosi? E Le tragedie di Shakespeare? Il moro e malvagio Otello, non sarebbe un personaggio disegnato in chiave razzista?
Questa rilettura in chiave di inclusività non risparmierebbe nemmeno la Bibbia! Quante parti del libro sacro sono politicamente scomode o scorrette, secondo gli standard odierni?
Ma anche l’altro ieri…
Ma anche l’altro ieri non eravamo inclusivi. Fa notare Gramellini, che le canzoni di Gianni Morandi, scritte pochi decenni fa, già risultano obsolete, piene di istigazione alla violenza, paternalismo, bullismo. E, aggiungo, film cult, come Via col Vento, dipingono una società in cui la schiavitù e la discriminazione razziale appaiono perfettamente normali
Le folli ragioni dell’inclusività
Sembra folle, ma una operazione di questo tipo, sta già accadendo. Nel mondo di domani regnerà l’inclusività. E le basi cominciamo a metterle adesso. Da qualche giorno non si parla d’altro. Puffin, l’editore che detiene i diritti dei libri di Road Dahl, ha annunciato che farà modificare alcune parti dei testi. Frasi relative a peso, violenza, genere, disturbi mentali, razza, verranno rimosse o riscritte. L’intento è quello di: “proteggere i giovani lettori da stereotipi culturali, etnici e di genere dalla letteratura” di legge. (link). Per portare a termine questa operazione di “pulizia”, l’editore ha affidato i testi a un gruppo di lettori “sensibili”. Una sorta di giuria popolare, che dovrà individuare e segnalare ogni possibile mancanza di inclusività.
Gli effetti delle modifiche
In base a questa nuova linea editoriale, Augustus Gloop, uno dei personaggi de La fabbrica di cioccolato, non potrà più essere definito un ragazzo “grasso”. La signora Twit non potrà essere indicata come “brutta da far paura”. Gli umpa lumpa, i fedeli lavoratori della fabbrica, diventeranno gender neutral. Qualcuno celebra questa scelta come una definitiva e meritoria conquista di inclusività. Tuttavia, ai più sembra invece solo l’ennesima dimostrazione del lato ottuso dell’inclusività. Contro questa decisione si sono pronunciati in tanti: fra essi lo scrittore Salman Rushdie, colpito più di trent’anni fa da una condanna a morte per il suo libro: “i versetti satanici”. Una persona che, in fatto di meccanismi di censura, la sa lunga.
Altri scrittori, intellettuali, critici letterari considerano questa decisione più rischiosa per la libertà di espressione, che benefica per l’inclusività.
L’inclusività è una invenzione moderna
Road Dahl, morto circa 30 anni fa, non è certo un illustre sconosciuto. E’ stato uno scrittore enormemente popolare. Dai suoi libri, tradotti e venduti in tutto il mondo, sono stati tratti anche film di grande successo. A esempio, la fabbrica di cioccolato ha avuto due edizioni cinematografiche. La prima, andata in onda nel 1971, con il mitico Gene Wilder. La seconda, del 2005, con il non meno celebre Jonny Depp come protagonista. Malgrado la grande fama, ora il suo linguaggio pare non regga i severi parametri della cultura moderna e il suo bisogno di inclusività.
Cancellare la realtà
Questa operazione di “purgatura” della letteratura del passato è molto pericolosa. Rischia, nelle mani sbagliate, di manipolare la cultura e neutralizzare i valori e i contesti che hanno ispirato le opere, per adattarle alla mentalità a ai bisogni attuali. Il problema è culturale ed etico al tempo stesso.
Se sparisce il contesto, se si vuole livellare la sensibilità di un’altra epoca alla nostra, inevitabilmente si perde tutto il valore che quella cultura quel contesto possono mostrarci. Un bagaglio che ci serve, anche solo per elaborarlo criticamente e distaccarcene.
Cicerone leggeva Platone, di quattro secoli anteriore. Seneca si lasciò influenzare dal teatro greco, Dante amava Virgilio, Manzoni si ispirò alla lingua di Dante, per migliorare la redazione de I promessi sposi. Nessuno, in passato, si è mai aspettato di leggere un testo antico, trovandolo conforme al mondo contemporaneo. La critica letteraria e l’interpretazione dei testi hanno lavorato proprio per restituirci il significato originario di opere antiche, nello spirito in cui erano state composte.
L’inclusività non è il male assoluto
Intendiamoci, io non dico che l’inclusività sia il male assoluto. Il fatto è che è stata travisata. Essere inclusivi dovrebbe significare accettare l’altro per quello che è. Evitare di escluderlo deliberatamente, se è diverso dagli altri, se ha delle caratteristiche particolari. Questa è una interpretazione condivisibile dell’inclusività. Il problema è che ci siamo fatti prendere la mano.
L’idea di proteggere i giovani, evitando di menzionare che un protagonista possa essere brutto, grasso, antipatico, buffo, significa cancellare la contrapposizione fra bene e male, bello brutto, giusto, sbagliato, che sta alla base della realtà.
Inclusività o trionfo del buonismo?
Lo scopo di questa operazione di riscrittura, è quello di limare ogni asperità o differenza, per restituire al lettore una immagine del mondo ripulita e buonista. Una realtà in cui si nega che ci possa essere la bruttezza, la cattiveria, l’antipatia, la contrapposizione. Eppure, questi aspetti facciano tutti parte della esperienza quotidiana e come tali devono essere affrontati.
La mania per l’inclusività diventa così, paradossalmente, un esercizio di esclusione. Invece di aiutarci ad affrontare la diversità senza pregiudizi, ad accettarla, questo approccio la nasconde. In questo modo, si rischia di rendere ancora più vulnerabili proprio coloro che si vorrebbero proteggere. Resi impreparati a confronto con l’altro, i giovani saranno davvero più sereni e inclusivi?
seguimi sul blog: www.AnnaPorchetti.it.
il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu