San Valentino

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Il romanticismo, San Valentino e le culle vuote. Riflessioni di Don Riccardo Mensuali su amore e famiglia

Questa sera, per San Valentino, i ristoranti saranno pieni. Di coppie e di romanticismo. Le culle, però, rimangono ancora vuote. Papa Francesco, esponendosi con la solita chiarezza, ricordò, tempo fa: “Avere un figlio naturale o adottato è sempre un rischio. Ma è più rischioso non averlo. È più rischioso negare la paternità e la maternità, reali o spirituali che siano”.

Molti si sono scandalizzati per il paragone che il Papa osò con i cani e i gatti che, secondo Francesco, prenderebbero il posto dei figli. Nella Laudato Sii si ricorda che ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura è contrario alla dignità umana. Nell’ordine del creato c’è posto per tutti.  Non si può però chiedere ad un papa di rinnegare che il vertice della creazione sia l’umano. “La gloria di Dio è l’uomo vivente” – dice la Bibbia.

Il rischio di un amore infecondo

In che senso sarebbe un rischio non avere figli? In molti sensi. Lo è per se stessi, innanzi tutto. Viviamo una contraddizione da eterni infantili: sappiamo bene che ormai possiamo arrivare a novant’anni ma non investiamo per quando saremo anziani, vecchi e magari bisognosi di cure e attenzioni. Una visione miope. E anche un po’ schizofrenica. È un rischio per la società, in termini economici ma non solo.

Una società di anziani è patologicamente di conservazione. Essere conservatori è stata e sarebbe, in sé, una prospettiva lecita e di riguardo.  Una nobile tradizione del pensiero spolitico e sociale. Ma c’è una patologia delle conservazione, che si esprime quando la grande maggioranza non sente più alcun bisogno di migliorare, di innovare, di mettere mano a riforme di cui, tanto, non vedrà la fine e dunque non ne ricercherebbe neppure il fine. C’è, inoltre, un rischio grave. Quello della tristezza, della mancanza di entusiasmo. Una famiglia, un condominio, una strada, una parrocchia e una città senza bambini sono grigie e intristite.

Chi era San Valentino?

Valentino fu un martire che, pare, si adoperò per favorire un matrimonio contrastato tra un soldato pagano e una cristiana. Oggi non correrebbe certo dei rischi, per questo sforzo. Ma se volessimo dargli un senso nel tempo post-pandemico, dovremmo chiedere al santo il dono di molti figli e di regalare a chi è giovane la voglia di rischiare e di scommettere sulla propria capacità di amare e di andare oltre la serata del dopo cena di questa sera. E di illuminare i nostri politici perché rendano l’Italia un paese per giovani, per il loro lavoro, per dare loro il tempo di fare figli e di starci, dopo averli fatti.

Senza fiammiferi non si accende il grande fuoco

Certo, avere a che fare con una famiglia con moglie, marito, figli, suoceri, amici dei figli e tutto il popolo che attorno alla famiglia cresce e si genera non è affare semplice. La cena di San Valentino dura come un fiammifero, invece. Ad ogni modo, senza fiammiferi non si accende neppure il grande fuoco, almeno fra noi moderni. Fare una famiglia è discorso complesso, un cammino impegnativo di formazione.

Si impara, a fare i membri di una famiglia, nascere non basta. In un certo senso, l’amore stabile come sfida complicata ma affascinante rimaneva sullo sfondo anche a Sanremo, l’anno scorso nella Domenica di Achille Lauro: “Esco dal bagno con tre figli e moglie… le voglio bene ma mi dò per morto…”. Vedremo quest’anno. L’infatuazione è cieca, l’amore no: sa vedere lontano, verso quando saremo vecchi e accompagnati dal calore, dall’affetto di molti nipoti, provenienti da figli diversi. Molti nipoti, molto onore.

Tutti ci auguriamo, stanotte, una grande serata. E che accada quello che Balzac descrive della sua Eugénie Grandet, colpita dal colpo di fulmine per il suo Charles: “Le erano venute alla mente più idee in un quarto d’ora che di quante ne avesse avute da quando era nata”. Ma, più tardi e con calma, ci auguriamo anche di fare nostre le riflessioni di Dietrich Bonhoeffer: “Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’affare, ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene?”

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