Pubblico la bellissima recensione su Amatevi finché morte non vi separi di Don Riccardo Mensuali, sacerdote e scrittore.
La vita di coppia sarebbe fantastica, se l’altro si comportasse secondo le nostre aspettative. Peccato che le nostre aspettative siano terrificanti. Avrei iniziato così, con queste parole, “Amatevi finché morte non vi separi”. Invece Anna Porchetti le sistema a pag.117. Del libro, è una frase che dice molto. Il suo lavoro, infatti, ha un’apparenza leggera e quasi frivola. Si potrebbe inserire in un non irrilevante filone di letteratura femminile di donne che consigliano donne su come gestire le proprie relazioni amorose.
E sono decenni che, ormai, anche la pastorale familiare delle nostre Diocesi ha scoperto che le persone cercano un aiuto molto “pratico”, quasi delle istruzioni, per far “funzionare” gli amori zoppicanti, i fragili legami amorosi vittime spesso di tempeste a cui non ci sentiamo (più) attrezzati. Eppure, alla fine della lettura del lavoro di Porchetti, quel che rimane è il senso di aver incontrato qualcosa di molto più profondo, chissà: forse anche all’insaputa dell’autrice.
In queste pagine viene offerto un aiuto per sostenere la spiritualità e l’identità di chi si vuole cimentare nell’arte del legame amoroso. Cosa che ci fa sommamente umani: le scimmie sono rimaste indietro, sul tema, come ho provato a raccontare in Leggero come l’Amore. La struttura del volume pare un agile libretto di istruzioni, consigli. Poi però, chiuso il libro, emerge quello che, finalmente, si sta facendo strada anche nella coscienza di tutti i cattolici, grazie anche a papa Francesco.
In sintesi: una donna adulta, battezzata, sposata, madre e lavoratrice non scrive testi di serie B solo perché non ci sono note né bibliografia (si cerci altrove, nei testi preziosi di teologia). Se un “semplice” cristiano riempito di sacramenti – battesimo, cresima, matrimonio, eucarestia – prende sul serio la propria missione con lucida coscienza, poi la gente trova, in lui o lei, nella sua vita e nella sua testimonianza, un segno vivo della presenza di Dio e un grande aiuto.
Perché dalla vita nel mondo, se ci si getta come cristiani autentici e coraggiosi, emergono una saggezza spirituale e una forza che non è affatto detto che preti e teologi sappiano far emergere. Lo si è sempre saputo: adesso si pubblica. Era ora. Invece di lamentarsi dei maschi, si scriva di loro, su di loro e anche per loro. Come fa Porchetti (non è affatto – questo – solo un libro per donne, come tutti i libri di spiritualità).
La vita di coppia sarebbe fantastica, se l’altro si comportasse secondo le nostre aspettative. Peccato che le nostre aspettative siano terrificanti. Qua, ad esempio, c’è moltissimo di una sapienza biblica e umana. C’è il desiderio legittimo di una vita fantastica: Gesù Cristo per questo è venuto, perché abbiamo la vita “in abbondanza”; c’è la pretesa, diabolica, che l’altro sia come lo voglio io e come lo vorrei plasmare. C’è il riconoscimento che gran parte del peccato dell’uomo si sostanzia in aspettative che di cristiano non hanno proprio niente: terrificanti. Si sintetizzano nel desiderio che l’altro sia un puro strumento del mio benessere. Così, nessun matrimonio va lontano.
Si potrebbe continuare, e il lettore lo farà da solo: Preferire la comodità ci renderà meno affaticati, ma non più liberi. La libertà è proprio un’altra cosa, qualcosa di più profondo che ha a che fare con la possibilità di scegliere tra il bene e il male. È un’altra frase che rischia di scivolare via. Ma racchiude una radice biblica profonda. Alla creazione, Adamo ed Eva non si trovarono forse nella situazione di coloro a cui Dio aveva loro lanciato una sfida? Potevano mangiare di tutti i frutti degli alberi del Paradiso, tranne uno. Ecco, in questo “tranne uno” è racchiuso il regalo supremo della nostra libertà.
Siamo veramente liberi se esiste un limite. Se posso comprarmi tutto senza limite diventerò uno che non sa più scegliere, eleggere, privilegiare. Prendere tutto è disumano. È tipico del bambino di due anni, che si butta su tutte le caramelle perché non sa scegliere, non è adulto, non ha la forza che ti regala il limite. Solo l‘essere limitato è anche un essere capace di libertà di scegliere.
E il matrimonio è scegliere ogni settimana. Scegliere non in astratto, scegliere cose molte concrete: fare una volta al mese il bollito misto, che piace a tutta la famiglia come racconta Anna Porchetti, scegliere di girare mezza Milano per andare a cercare una camicia marrone per la recita della bambina, scegliere di far sentire importante il marito perché più che giudicarci bisogna, nella vita di coppia, imparare a collaborare con lui, per la vostra comune missione matrimoniale: aiutalo a sviluppare la sua leadership.
Scegliere di rischiare qualcosa, di avere più bambini e meno Bimby, o almeno che questo non prenda il posto di quelli visto che una volta le mamme entravano in competizione sui figli … oggi è sul robot che si disputano le competizioni più accese. Ringrazio Anna Porchetti per il coraggio, l’ironia che accompagna e non contraddice la profondità e la leggerezza che non contrasta la serietà del tema.
Sono convinto, e l’ho scritto qualche volta, che la crisi della natalità sia, in vero, crisi del matrimonio e di legami forti, stabili, duraturi. I figli li fa la stabilità, non i muscoli che all’atto amoroso sovrintendono. Ma i matrimoni li fanno adulti cresciuti, rafforzati. E la fede, o rende forti o fa rimanere adolescenti a vita. Qualcuno, però, bisogna che dia un mano, a ritrovare il bandolo di una matassa intricata. E come un bravo medico, la malattia si cura con fermezza e chiara diagnosi.
La colpa non è del benessere, dei consumi, dei robot in cucina: guardiamoci più nel profondo, “meditiamo” la vita come faceva Maria, la Madre di Dio, impariamo a fare un cammino dentro di noi per diventare cristiani saldi, sulle cui spalle sappia reggere la campata di una lunga, infinita avventura amorosa. C’è bisogno di forza, non di pesantezza. Predicò con queste parole, a Milano, città dell’autrice, un giorno del lontano 1958, l’Arcivescovo Montini durante delle nozze: “Sarebbe da dire: un matrimonio ideale deve essere un matrimonio felice. Sì, ma non è la parola che mi soddisfa… io vorrei che la vostra famiglia fosse forte. Questa è la parola”.
Non sarà semplice, un matrimonio che dura e dura nel rispetto dei diversi carismi: sarà bello e motivo di grande soddisfazione. In fondo, chi non vorrebbe morire dicendo: “questa meraviglia l’ho fatta io”. Anche una famiglia può essere il nostro prezioso lascito ad un mondo ferito dalla fretta di chi sta smarrendo il senso della durata, della fedeltà, del creare vita. Non dirò, non lo penso, la banalità che i preti non sanno scrivere né pensare su matrimonio e famiglia. Sciocchezza da social.
Però era ora che le donne mostrassero quel che sanno scrivere e pensare. Che si presentassero sulla scena pubblica della Chiesa, in tema di famiglia, con la loro voce dolce e ferma, forte e ironica ad un tempo. Anche senza note.
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