L’elefante nella stanza

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L’elefante nella stanza. Avete presente? È quell’argomento spinoso che tutti conoscono, ma nessuno vuole affrontare. Allora gli girano intorno. Fingono di non vederlo. Ma lui è proprio lì. Grosso, grasso, imbarazzante. (non è body shaming. È un elefante metaforico. Nessun pachiderma è stato maltrattato, durante la realizzazione di questo post).

L’altro giorno leggevo un articolo su Cherie Blair. Avete capito bene: la moglie dell’ex primo ministro inglese, Tony. Cherie è stata nominata fra gli UK Catholic Leaders (i leader cattolici del regno unito) per l’anno 2022. L’articolo è solo di dicembre per cui sono piuttosto in anticipo sui miei tempi di elaborazione dell’attualità. Mi sento quasi come stessi cavalcando l’onda impetuosa della notizia.

Il giornale che l’ha intervistata è il Catholic Herald. Ovvero il principale settimanale cattolico inglese. Una storia di oltre cento trent’anni e una tiratura di circa ventimila copie alla settimana. Capirete bene che non vedessi l’ora di leggerlo. Avevo immense aspettative. L’articolo si trova qui: https://catholicherald.co.uk/uk-catholic-leaders-of-today-2022-cherie-blair/

Devo doverosamente premettere che Cherie Blair mi suscita sin dal primo giorno stima e simpatia. Ho sempre pensato che ci volesse un carattere forte, nervi saldi e molta saggezza, per fare l’avvocato, tirare su quattro figli ed essere la discreta, equilibrata, affidabile moglie del primo ministro di una delle sette superpotenze mondiali. Una moglie in grado di ispirare la conversione del marito al cattolicesimo.

L’intervista, condotta dal giornalista William Cash, parte bene. L’elefante appare immediatamente. Cherie tira fuori subito l’argomento scottante e dice: “so che c’è una questione importante a proposito della laicità della società e la separazione fra il tuo credo presonale e quello che fai nella sfera pubblica”.

Dichiarazione che fa (ri)sorgere l’annosa questione: ma un cattolico si comporta come tale, anche quando riveste un ruolo pubblico? Oppure deve conformarsi a un atteggiamento laico e relegare la sua fede nella sfera privata?

A me sarebbe piaciuto saperlo. Ma l’intervistatore svia. Intanto che lui le chiede dettagli della conversione del marito, l’elefante lascia il suo angolo in disparte si accomoda al centro della stanza. L’intervistatore gli va vicino di nuovo, perché ci spiega: “ho sollevato il punto di vista del Presidente John F Kennedy, che la fede sia un fatto privato per i politici. Mi chiedevo se [Cherie] ritenesse che I leader cattolici potessero nascondere completamente le loro convinzioni religiose così facilmente?”  Ma è solo un attimo.

Perché questa ottima domanda, lui la pensa. Ma non la fa. Le chiede invece se ha mai avuto divergenze di opinione con suo marito, in materia di fede e di coscienza (ma a noi, cosa importa?). E se si sia mai sentita più intimamente vicina a membri del parlamento cattolici, di schieramento trasversale, rispetto ai laburisti (il partito progressista del marito). E anche qui, un sincero chissenefrega ci sta.

A questa domanda francamente poco interessante, Cherie risponde in modo molto vago, raccontando della sua infanzia nella minoranza cattolica. Ricorda la scuola gestita da suore irlandesi, la grande festa ogni anno per il patrono San Patrizio. Poi cala l’asso del cugino della nonna, che era un parroco cattolico. (il fascino di ammiocuggino è internescional).

Il giornalista la riporta in carreggiata? Assolutamente no! Anzi, contribuisce a divagare, dandoci altre informazioni irrilevanti. Prima ci propina un breve momento gossip. E ci racconta che il padre di Cherie lasciò sua madre (entrambi attori), quando lei aveva otto anni. Rivela poi che la futura moglie del primo ministro verrà affidata alle cure della nonna paterna, fervente cattolica.

Poi fa all’interessata questa incisiva domanda: “ha mai pensato di farsi suora?”

In tutto questo, l’elefante si è sdraiato sul divano della stanza, e sta facendo una tipica merenda inglese, a base di tè earl grey, scones e particcini, mentre i due continuano a ignorarlo. Spuntano fuori altri due cugini del padre, ordinati sacerdoti, uno dei quali tragicamente scomparso, a un passo dalla nomina a vescovo.

Mettiamoci la barriera linguistica, mettiamoci pure quella culturale, ma a me, che sono una focosa mediterranea, l’intervista pare aver preso una piega surreale.

Al termine di queste ed altre amenità, il buon William pare folgorato da uno scrupolo professionale. Torna al tema chiave dell’intervista che, vi ricordo, nel caso siate stati distratti dalle tante divagazioni era: il cattolico è cattolico sempre e comunque, o se fa il primo ministro, deve comportarsi da laico?

William le chiede se provi empatia verso Joe Biden, per il conflitto fra la sua fede cattolica e la sua posizione politica pro-aborto. (Posizione aspramente criticata da alcuni vescovi cattolici americani). Diciamo che l’empatia non è proprio l’aspetto che avrei investigato prioritariamente. Io avrei fatto una domanda più diretta su quella che fosse l’opinione di Cherie. Però ho apprezzato che l’intervistatore sia tornato sul pezzo. Più o meno.

Al che, Cherie, non so se svagata o estremamente diplomatica, risponde, giocando un po’ con le parole. Dice che sicuramente prova simpatia per Joe Biden. E continua spiegando che: “In fondo I sacerdoti e i vescovi sono lì per un ruolo pastorale e girare le spalle a qualcuno per qualcosa che ha fatto per lavoro, è una cosa triste.” E aggiunge: “conosco molti preti che la penserebbero diversamente su come trattare le persone e come trattare la politica“.

Insomma la first lady alla fine si sbottona. E ci sarebbe da approfondire parecchio. Per esempio, se davvero, come sembra, Cherie ritenga che i sacerdoti siano lì apposta, a disposizione sempre e comunque, come fossero un servizio clienti della banca o dell’operatore telefonico. Anche verso chi non necessariamente manifesta pentimento (per lo meno, non pubblicamente).

Sarebbe interessante, discutere se scelte contrarie ai pilastri della fede (ad esempio la difesa della vita), siano giustificabili per un capo di stato o di governo cattolico, se necessarie per compiere il proprio mandato.

Qui l’elefante ha un sussulto e forse teme che qualcuno, nella stanza, finalmente si sia accorto di lui. Ma i suoi timori durano poco. Perché l’intervistatore, invece di scavare un po’ di più nelle risposte, riprende a divagare.

Alla fine, l’unica frase che emerge dalla conversazione è l’antica massima: odia il peccato, ama il peccatore. A cui la signora Blair aggiunge la chiosa che la chiesa dovrebbe essere sempre aperta e a nessuno dovrebbe essere negata la Comunione.

Questa è una posizione che alimenterebbe un confronto interessante. Per quanto si ami il peccatore, davvero non gli si può mai negare l’accesso alla comunità, ai sacramenti, qualunque cosa abbia fatto e con qualunque disposizione d’animo?

Non c’è davvero nessun caveat? Se c’è, il caro William non vuole o non sa farlo emergere. L’elefante si sbraca completamente sul divano e segue con aria annoiata il resto della conversazione nella stanza (se vi incuriosisce, leggetela voi).

Io, che non ho nessuna preparazione teologica e non sono nessuno, rimango comunque un po’ perplessa. E non per Cherie, che – lo ribadisco – mi sta pure parecchio simpatica e non da oggi. È l’approccio in generale, che mi confonde.

Ho sempre pensato che il cattolicesimo non sia una maglietta, una parte del dress code che ti cambi, in base al contesto in cui stai. Il cattolicesimo permea il nostro stile di vita, le nostre convinzioni profonde, tutte le nostre azioni. Se il nostro lavoro è in conflitto con ciò in cui crediamo, con il nostro senso di bene o di male, dobbiamo comunque farlo? Non dovremmo, anche nel lavoro, portare avanti i nostri valori e la nostra fede?

Una religiosità relegata alla sfera privata è vera fede, o diventa una tradizione familiare, un elemento di folclore, un’abitudine?

Sono lontani i tempi in cui Baldovino, re del Belgio, abdicò per trentasei ore, per non dover firmare la legge sulla legalizzazione dell’aborto. Un re che non sembrava convinto che la religione potesse essere confinata alla vita privata di un uomo di stato.

Queste domande e riflessioni dobbiamo tenercele per noi. L’intervista si è conclusa, senza che riuscissimo ad affrontarle. Nel frattempo, l’elefante nella stanza ringrazia.

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