Per cosa vale la pena vivere o morire?

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Per cosa vale la pena vivere o morire? Lo so che la giornata di oggi è particolare. Il 26 dicembre arriva subito dopo Natale. Siamo ancora sazi, per pranzi e cenoni commemorativi. Abbiamo il frigo pieno di avanzi e una vaga sonnolenza. Potremmo rischiare di prenderlo sottogamba questo giorno. Di considerarlo un intervallo di quiete dopo l’avvento e il culmine glorioso della natività. Invece è un giorno molto importante. È un grande inizio.

Il 26 dicembre, la Chiesa ricorda Santo Stefano, protomartire, il primo santo della storia.

Santo Stefano è una figura così antica, che ne parla il Nuovo Testamento. Gli atti degli apostoli parlano di lui. Morto Gesù, gli apostoli nominano sette diaconi, per aiutarli a diffondere la parola di Cristo. Stefano è il primo. È un uomo pieno di Spirito Santo. Le sue parole, che vogliono risvegliare le coscienze a invitarle a seguire il Messia, fanno paura all’ordine costituito. I sacerdoti tramano alle sue spalle. I suoi nemici sono numerosi e tutti temono che la predicazione potente di Stefano danneggi i loro interessi. Il testo sacro fa l’appello dei cospiratori: la comunità ebraica detta dei liberti, con altri di Cirène e di Alessandria, della Cilicia e dell’Asia. Troppi nemici e troppo potenti, per un uomo solo.

Si coalizzano per neutralizzarlo. Ricorrono ad un’arma ancora in uso oggi: la calunnia. Allora, come oggi, per mettere in difficoltà gli avversari, si inventano fake news, sul loro conto.

I nemici accusano Stefano di aver pronunciato parole che non ha mai detto. Aizzano l’opinione pubblica contro di lui. Stefano viene catturato e portato davanti al Sinedrio, per essere giudicato. E anche lì, il Santo mostra la grazia e la potenza di cui è dotato. Le scritture rivelano che tiene in scacco tutti i sacerdoti, con le sue parole.

Lo Spirito Santo parla attraverso di lui. Stefano rivela di vedere Gesù, seduto alla destra del Padre. I sacerdoti si tappano le orecchie per sfuggire al suo annuncio. Infuriati, lo trascinano fuori dalla città e lo uccidono a sassate. Un omicidio feroce, che Stefano accetta, chiedendo misericordia per gli assassini. Come fece il suo Signore, sulla croce. Tutto nella sua storia induce alla riflessione.

Tutta la vita di Stefano è spesa per la verità. Lui non ha paura di predicarla, di annunciarla, di testimoniarla, fino all’estremo sacrificio. La verità è la sua ragione per vivere e quella per cui morire.

Stefano ci chiama a interrogarci su quali siano le cose per cui vale la pena vivere e morire. Oggi, come ieri. Noi a volte ci lamentiamo del vuoto di valori, dello smarrimento della direzione. Tutti cerchiamo una ragione di vita. Ci chiediamo che ci stiamo a fare, su questa terra. Vogliamo dare alla nostra esistenza un senso. Santo Stefano incarna il nostro bisogno antico e moderno di una vocazione per cui spendere la vita.

Oggi non rischiamo più la morte qui, in questo angolo quieto di mondo. Qui nessuno più uccide per la fede, o per la sua mancanza. Potremmo allora pensare che la difesa della verità abbia perso il suo valore. Potremmo guardare a Stefano come a un esempio di un passato lontano, che non ha più niente da dirci.

Al contrario, proprio perché il vero e il falso hanno sbiadito i loro confini, in questo mondo in cui tutto è così relativo, annunciare la verità è enormemente importante.

Proprio perché la verità viene messa in discussione o nascosta, dietro al punto di vista, agli interessi della comunità, alle preferenze del singolo, è importante riaffermarla. Il senso comune porterebbe a evitare di schierarsi. In nome di una male interpretata inclusività, oggi ci fanno credere che la verità non esista. Che ogni tentativo di stabilirla o testimoniarla, possa essere arbitrario e che danneggi gli interessi di qualcun altro. Dovremmo chiederci continuamente se quello che diciamo, facciamo o pensiamo può offendere qualcuno. Se può farlo sentire escluso, discriminato, isolato.

Pare che oggi non esista alcuna autorità al di sopra o al di fuori di noi, in grado di dividere la realtà in giusto e sbagliato, vero e falso, buono e cattivo. Niente è più vero o falso in assoluto. Ciascuno può crearsi la sua verità, tracciare da sé i propri personalissimi confini.

Invece, la verità non è inclusiva, né democratica. Proprio perché divide il bene dal male, ne demarca con chiarezza il confine, la verità è divisiva. Proprio perché la verità è una, non può essere decisa a maggioranza, a suon di sondaggi, secondo i desideri del pubblico o le regole della democrazia.

Immaginatevi Stefano al tempo d’oggi. La sua battaglia non sarebbe meno attuale né meno giusta. Forse non potrebbero lapidarlo, ma di certo cercherebbero di metterlo in difficoltà. Di neutralizzare l’immensa potenza delle sue parole. Io me lo immagino, mentre dice: ‘Ecco, io vedo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta in piedi alla destra di Dio’. E chi gli sta intorno ribatte: “alla destra di Dio? Perché la destra e non la sinistra? E quelli che si siedono a sinistra, non potrebbero offendersi? E del centro? Ce ne vogliamo disinteressare?

Che poi, “figlio dell’uomo”… ma ne sei proprio sicuro? Perché questa storia del padre e del figlio… è un tantino azzardata. Magari più che di padre, si potrebbe parlare di genitore uno o due, per non discriminare nessuno.

E anche la parola figlio… è impegnativa. Diciamo prodotto del concepimento… discendente… erede legale, fatti salvi eventuali diritti di terze parti.

E poi, questa storia di Dio… e con chi non crede in Dio, come la mettiamo? E chi crede che ci sia più di un Dio, non potrebbe prendersela? ”

Nessuno di noi rischia la vita, ma in questo mondo di realtà liquide e di situazioni indefinite, lottare per la verità è giusto e doveroso più che mai. Anche adesso l’affermazione della verità è una degna causa per cui vivere o morire. Una vocazione per ogni cristiano.

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