Attenti al lupo! Non quello vero. Il famoso homo homini lupus, dello scrittore latino Terenzio. L’uomo è lupo per gli altri uomini. Adesso mi spiego.
Anni fa, mi lasciai sfuggire che avevo fatto il caffellatte per colazione a una delle figlie, all’epoca in seconda media. Ero in un consesso di mamme, tutte (o quasi) moderne, salutiste, pedagogicamente emancipate. Ricordo il silenzio di tombale. Neanche avessi confessato di somministrare alla figlia una qualche droga sintetica. Inconcepibile per me, bambina negli anni 70, tirata su a ettolitri di caffellatte.
E poi, qualcuna cominciò a chiedermi se fossi consapevole dei rischi. Se lo facessi spesso. Se ne avessi parlato con la pediatra.
Un’altra mamma sosteneva invece che le pediatre di oggi non capiscano niente. Molto meglio informarsi da sé. Attraverso il sito taldeitali. Il blog di una puericultrice new age. Nata in America, ma vissuta in india per anni. Lì ha imparato, da una popolazione indigena di una valle sconosciuta, il modo migliore per tirare su figli sani.
Io non lo so se succeda anche a voi. A me pare di essere circondata. Le classi delle mie figlie, le loro squadre sportive, i corsi di lingua, sono popolati da questa stramba umanità fatta di persone ossessionate dall’idea che chiunque li circondi, sia intenzionato a far loro del male. Che ci sia chi ordisce mille intrighi e complotti ai loro danni. Pensano di dover stare attenti al lupo. Perché il lupo è ovunque.
C’era un’altra – questa volta una ex collega – che faceva il sapone in casa. Sosteneva che i detergenti industriali brutti e cattivi danneggiassero irreparabilmente la pelle. Lei lo sapeva bene! Aveva letto su una newsletter per donne consapevoli, che i saponi in commercio possono rendere la cute simile a scaglie di coccodrillo.
Una mia vicina di casa fa il pane in casa. Lo impasta ogni mattina all’alba. Dopo aver fatto il bagnetto al lievito madre, per rinnovarlo. Lo sanno tutti che senza lievito madre il pane diventa indigesto e gonfia lo stomaco.
La mamma di un bambino dell’oratorio portava, alle merende mensili, qualcuna delle sue terribili torte bio. Fatte con miglio, kamut, il grano saraceno o altre granaglie da galline. Senza ombra di farina bianca, senza uova, senza burro, senza zucchero. In pratica, dei mattoni di segatura, duri e insapori. La poveretta non si spiegava come mai rimanessero quasi intatte. Chissà perché i ragazzini le snobbavano, in favore di crostate burrose e grondanti di marmellate industriali, piene di vero, temibile zucchero?
In questo delirio di biologicamente corretto, i nemici sono loro: lo zucchero bianco, pericoloso almeno quanto l’arsenico, il burro, che è una specie di veleno, la farina, ingrediente letale.
Ho frequentato per anni una di quelle mamme faceva lo yogurt in casa, ma solo con latte di una varietà di capra molto particolare, che mangia erbette fresche d’altura. Un latte più caro del dom perignon del 69. Difficile da procurare, a Milano, lontana da pascoli d’altura e allevamenti di capre.
Qualunque materia prima facilmente reperibile, è lambita dal sospetto di orrende cospirazioni, ai danni del consumatore sprovveduto. Per evitare tutto ciò, i bene informati vi consigliano di stare attenti al lupo e affidarvi ai gruppi di acquisto.
Non conoscete i gruppi di acquisto? È presto spiegato: sono sette segrete in cui potrete essere ammessi, solo dopo aver superato complessi riti di iniziazione. Sono organizzazioni affiliate con un patto di sangue a coltivatori diretti. Gli unici in grado di garantire frutta, verdura e formaggi preparati ancora come cinquant’anni fa. Ovvero al netto di anni di progresso nelle coltivazioni, nell’allevamento, nella produzione alimentare. Un ritorno all’arretratezza del passato. A beneficio di una ipotetica maggiore “naturalità”.
Questi produttori mantengono l’anonimato, per non incorrere in rappresaglie da parte delle crudelissime multinazionali avvelenatrici. Ti spediscono a caro prezzo cassette composte con le loro mani. Scordati di poter scegliere quello che ci mettono dentro. L’acquisto è praticamente a cassetta, pardon, a scatola chiusa. Chissenefrega che odi le bietole e il cavolfiore non lo mangi da vent’anni e i carciofi non sai pulirli? Questo è il prezzo dell’integralismo del bio. E, credimi, è un prezzo salato.
Tutto questo agitarsi avrebbe un ottimo fine. Ovvero di liberarci dalle dinamiche del mercato di consumo, dall’industria alimentare, dal trasporto su strada. Insomma evitare tutto quello che le generazioni precedenti hanno costruito e del quale abbiamo comodamente beneficiato dalla nascita (e di cui io, che si sappia, intenderei continuare a beneficiare più a lungo possibile). In ultima analisi, di liberarci da quel lupo, a cui non possiamo mai smettere di stare attenti.
Intendiamoci, il problema non è preparare in casa qualcosa. Quello lo faccio anche io, seppur con risultati miseri. E non c’è niente di male neanche cercare di fare la spesa in un modo diverso, cercando alternative al solito supermercato. Il vero problema è essere ossessionati dal mondo, al punto di volerne rifuggire. Rinchiudendosi in una fortezza, in cui tutto è auto prodotto e controllato.
Io ci vedo qualcosa di profondamente malato. Conseguenza della nostra epoca che rifiuta Dio.
Questi adulti sono provati dalla sofferenza di aver perso la direzione. Sentono confusamente di non sapere più riconoscere il bene dal male. E quindi il male lo vedono ovunque. Il bene, invece, lo concepiscono unicamente come il risultato delle loro scelte e delle loro moltissime esclusioni. Se neghi che il bene esista o non sai riconoscerlo, finisce che non ti fidi più di nessuno, a parte te stesso.
Sapere di essere amati, di un amore profondo e incondizionato, ti riconcilia con te stesso e col mondo. Ti permette di aprirti agli altri. Invece che considerarli una minaccia. Non è il prossimo il lupo a cui stare attenti. Non necessariamente.
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