Solo per amore. Ci sono cose che si fanno solo per amore.
Per esempio, le lenzuola da culla ricamate. Giorni e settimane ad accecarsi per ricamare a piccolo punto su un bordo di tela aida: angioletti, fiorellini, personaggi di Walt Disney (per le amanti del contemporaneo). E il nome della creatura, vergato con una grafia piena di svolazzi.
Oppure, la curva di carico glicemico, quando sei incinta e al tuo ginecologo viene il sospetto che tu possa avere un po’ di iperglicemia. (invece ti sei solo strafogata di pane e nutella, ma non hai avuto il coraggio di dirglielo).
I complimenti all’amica che ha appena partorito il quarto figlio e non è certo un fiore, ma per amore sei pronta a giurarle che stia benissimo.
La visione reiterata per 38 giorni (fra andata e ritorno di campionato), di venti deficienti in mutande che ricorrono un pallone, mentre altri due deficienti li fissano dalla porta.
Fra le cose che si fanno solo per amore, ci metto anche il sesso.
E invece pare di no. Adesso il sesso è mestiere. Sì, lo so, non è da adesso, che il sesso è mestiere. Il “mestiere più antico del mondo” è sempre stato una metafora della prostituzione. Una cosa brutta, degradante, irrispettosa della dignità femminile.
Questo fino a ieri. Oggi però, il sesso on line a pagamento è diventato un mestiere come un altro. Anzi, meglio di tanti altri. Parola dell’ex insegnante, che da tre anni ha abbandonato le aule di scuola e ha cominciato a spogliarsi per denaro, su una piattaforma web per adulti. Lei li chiama “contenuti espliciti” perché va bene essere disinvolti, ma la parola “pornografia” fa ancora un certo effetto. Così come quella “prostituzione”. (la sua storia è qui: https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/onlyfans-insegnante-lascia-scuola_57408497-202202k.shtml
Queste brutte parole vanno omesse, seppellite sotto la promessa (presto mantenuta) di guadagnare una montagna di soldi. (un milione di dollari in 3 anni). Così, vendere se stesse non è poi tanto male. Diventa persino un lavoro ambito.
E se non lo capiamo, è un problema nostro. Siamo antiquati, rigidi, bigotti.
Da una parte c’è un adulto che compra, dall’altra un adulto che vende. E’ tutto consensuale, pragmatico e chiaro.
Si tratta di avere “la mentalità aperta”. Il che vuol dire contare il denaro e i privilegi che procura, senza preoccuparsi da dove venga. Significa accettare che tutto si può comprare. E’ solo una questione di prezzo. Perché da una parte c’è chi ha il diritto di vendersi alle proprie condizioni. Dall’altro c’è chi ha il diritto di comprare quel che vuole. I soloni della modernità a ogni costo chiosano: E’ una equa transazione economica, che male c’è?
Invece io un bel po’ di male ce lo vedo. Abbiamo legittimato il più bieco desiderio umano, l’egoismo. Che altro nome dare all’ambizione di possedere un altro essere umano e usarlo per i propri capricci? E lo abbiamo trasformato in diritto. Lo abbiamo reso accettabile, facendolo uscire dall’ombra.
Vendersi, intere o a pezzi, dal vero o davanti a una webcam, non ha nulla a che fare con l’amore. Né con l’amore per noi stesse, né con l’amore per l’altro. Prestarsi a soddisfare desideri morbosi, travestendoli da normalità, non è amore. Non c’è nulla di sano nel pagare per il corpo di una donna, che non si ama e da cui non si è amati. Per me certe cose si fanno solo per amore.
L’amore non è possesso. Chi ama non usa l’altro per soddisfare i propri desideri. Amare è proprio il contrario: è volere il bene dell’altro. E’ donare e donarsi spontaneamente, spendersi nella cura dell’altro. Amare non è chiedere o pretendere per sé. E’ dare, senza aspettarsi una ricompensa.
Normalizzare la compravendita del sesso è un modo per sostituire l’amore con lo scambio, la generosità con l’interesse. Facendolo, si mettono le basi per una profonda, irreversibile infelicità.
E’ questo il progresso?
Ci hanno detto per anni che l’emancipazione femminile fosse una grande conquista civile. Che, per una donna, dire: “il corpo è mio e me lo gestisco io” fosse un enorme passo avanti verso la libertà e l’autoderminazione. Ci hanno spiegato che tutta questa battaglia aveva il fine nobile di eliminare l’idea delle donne oggetto. Perché alle donne non piace l’idea di essere usate.
Quaranta o cinquant’anni dopo quelle lotte mi chiedo: tutto qua? E’ questo il risultato sperato? La lotta per “il corpo è mio” aveva come conclusione: “e me lo vendo come voglio io”? Essere usate allora va bene, a patto che il prezzo della transazione contenga molti zeri? L’agognata libertà delle donne alla fine si riduce alla libertà di vendersi, invece di fare la maestra, la cardiologa, l’architetta, la portalettere? Siamo sicure di essere andate avanti, di averci guadagnato? Non era meglio quando eravamo meno emancipate e certe cose le facevamo solo per amore?
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