La vita della madre è un lavoro duro. Non credete a quello che vi raccontano. Alla favola della mammina perfetta, che va in scena ovunque. E non solo nelle pubblicità del mulino bianco. Quelle sono proprio palesemente ingannevoli. Ma anche tutte le altre, non scherzano. Anche se sono meno patinate e fiabesche, contengono comunque un messaggio mistificatorio.
Pensate agli spot del mocio vileda o del detersivo per la lavastoviglie! Non riflettono mica la realtà. Lì le case sono tutte ordinatissime, le madri sorridenti, ben pettinate. Truccate. Con gli accessori coordinati. Soprattutto, tutti sono lucidi. Di buon umore. Nel pieno possesso delle loro facoltà. Mica come me.
La mattina dopo il rientro dalle trasferte (come adesso), sono sempre bollita. Fatico a ricordarmi come mi chiamo, dove vivo e chi sono quelle tre adolescenti che si aspettano che mi comporti come la Barbie-cuoca-infermiera-stiratrice-donna-delle-pulizie-rammendatrice-consulente-sentimentale-personal-shopper-ministro-con-portafoglio (e carta di credito)- insegnante-di-ripetizioni-motivatore.
Per di più, gratis.
In una parola, si comportano come fossi la mamma. Credo sia indizio del fatto che lo sono.
Anche stamattina. Se quello che ho fatto fino a ieri per lavoro mi era sembrato tanto, non è ancora nulla, rispetto al mio vero lavoro duro. Il duro lavoro di madre.
Mi alzo a fatica dal letto, metto i piedi a terra e mi muovo con passo malfermo, trascinandomi in cucina in cerca di caffè. Mia figlia (potrebbe essere mia figlia, ma a quest’ora del giorno non sono sicura di nulla) mi dice:
“Maaaa! Mi devi firmare il modulo della gita. Ma veloce, ché sono già in ritardo. Non perdere tempo, firma qua, anche senza leggerlo”
Il mio neurone in basso a sinistra tocca la spalla di quello che dorme in alto a destra.
“Ehi!!! Hai sentito cos’ha detto?”
“Chi, cosa, come, dove?” gli risponde l’altro.
“Ha detto di firmare senza leggere”
“Eh? Ahhhh”
“Minchia ma svegliati, mica si può firmare senza leggere! Anzi bisogna leggere TUTTO”
L’altro neurone: “prima del caffellatte mi rifiuto di leggere qualunque cosa. È un mio diritto”
Ma, dopo due giorni di trasferta, il latte è finito. In questa casa il latte si consuma a ettolitri. Bisognerebbe allevare una mucca per il nostro consumo personale. Il problema è che nello studio non ci sta, a meno che non spostiamo la scopa elettrica, la cyclette e il mini-frigo. Ma poi dove li metto?
Il neurone in basso a sinistra tocca la spalla di quello che dormiva in alto a destra.
“Non ti ricordi che ho suggerito di comprare quel fantastico cappuccino liofilizzato, per le emergenze?”
Il gastrocita, cellula gastrica, batte i pugni sulla parete dello stomaco: “mi rifiuto di introdurre altro cibo spazzatura qua dentro. La matta si è già fatta tre giorni di trasferta estera. No ma dico, avete idea di cosa abbia buttato giù in queste ultime settantadue ore? E adesso vi ci vorreste mettere anche voi? Non sono la vostra discarica. Il cappuccino liofilizzato, fateglielo bere agli americani”
I due neuroni in coro: “zitta tu. Sei cellula secretiva? Allora tieni il segreto e la bocca chiusa, che noi cervelloni quassù, senza caffellatte non possiamo starci! Hai capito che adesso che è tornata a casa, l’aspetta quello che lei chiama: il suo duro lavoro di madre? E quindi ci tocca pure a noi”
Per ora, neuroni battono cellula grastrica 1 a 0. Il cappuccino liofilizzato si fa.
La papilla gustativa: “ma che è sto schifo! Ma dove l’avete trovato sto liofilizzato? Scommetto che è quello in offerta al discount! Dite alla matta che la prossima volta, tanto vale che beva la segatura”
Il neurone in alto a destra indica il neurone in basso a sinistra: “è colpa sua. È lui che non la controlla. Non le inibisce gli acquisti incauti. Appena lei legge “in offerta” butta dentro al carrello, la matta. Non ho potuto fermarla, io quel giorno dormivo”
Neurone in basso a sinistra allora dice: “oggi bisogna comprare: il latte, la carta igienica, l’acqua minerale. E le uova. E la pasta. Se lo segnerà la matta? O tocca a noi ricordarci sempre di tutto?”
Il miocita, cellula muscolare, s’inalbera: “ahò! Non vi allargate con gli acquisti! Che qua poi il lavoro pesante tocca a me! La matta di carica come uno sherpa. Dice che chiunque può portare fino a cinque volte il suo peso, in sacchetti della spesa! Dice che basta fare un giusto gioco di leve. E io poi resto indolenzito per i tre giorni successivi”
Il neurone in basso a sinistra dice: “tu sei il braccio e noi la mente” e quello in alto a destra: “comunque, ha poco da fare lo spiritoso, uno che va in giro rosso striato”.
Intanto la figlia adolescente mi fissa spazientita, con modulo da firmare e penna in mano. Tento la manovra diversiva della battuta di spirito:
“Scusa amore, pensavo a Menenio Agrippa”
Ma la mia arguzia cade nel nulla. Forse anche i suoi neuroni dormivano, mentre la prof di latino parlava di Menenio Agrippa.
Infatti, lei mi guarda con aria scettica e pensa:
“sarà uno di quegli influencer sfigati seguiti dai boomer come mia madre! Qualche tardone che avrà come minimo quarant’anni”
Il neurone in basso a destra e quello in alto a sinistra, si concentrano con sforzo sovraumano sul foglio. È una liberatoria per la privacy per le riprese in gita.
Perché il mondo è così. Più si perde l’intimità e il pudore e più fioccano insulsi regolamenti per proteggere non si sa più quale privacy.
Mi accascio sulla prima sedia disponibile (ovvero l’unica su cui non siano stratificate felpe, magliette, libri, zaini, sciarpe e altri oggetti di natura non identificata). Compilo diligentemente il modulo in ogni sua parte, scrivendo in stampatello. Il mio corsivo the morning after, la mattina tragica dopo una trasferta, richiederebbe un team di egittologi esperti, per la sua decifrazione.
E intanto mi dico che l’amore è una cosa grande. Che tutto questo e molto altro lo si fa solo per amore. Per amore, fai il duro lavoro di madre. Perché i figli sono dono. Anche se ti tirano giù dal letto, quando avresti ore e ore di fuso orario da smaltire e un lungo viaggio sulle spalle. Persino quando, al netto di tutto, hai dormito tredici ore in tre notti. Poche notti e molti giorni lavorativi.
Anche così, i figli restano la benedizione più grande che il Signore possa dare. Persino a una scombinata come me. Qualcosa di cui essere immensamente grati.
[disclaimer: non sono una boomer, ma una generazione X. Comunque è vero, il cappuccino liofilizzato è un crimine contro l’umanità]
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