Perché il padel è più popolare del matrimonio?
Avete presente il padel? Se non lo conoscete, ve ne parlo io. Non ditelo troppo in giro, però! E’ lo sport del momento e la moda non ammette ignoranza. Dunque, questo padel è una specie di evoluzione del tennis, un cugino più sofisticato dello squash degli yuppie anni 90.
Lo squash si poteva praticare anche da soli. Se proprio non si aveva nessuno con cui giocare, ci si chiudeva nel cubicolo di plexiglass e si tirava la pallina contro il muro. Gli anni novanta sono stati l’apoteosi delle cose da fare per conto proprio, senza bisogno di nessun altro. Fino a che ci siamo accorti che stare soli non è poi questa gran cosa e che l’altro ci può fare star bene.
Allora si è diffuso il padel, che si può praticare in due o in quattro. Da soli non se ne parla, intanto perché è piuttosto costoso e poi perché è considerato lo sport sociale per eccellenza, da giocare fra amici, per smaltire lo stress da lavoro e cementare i legami.
E’ uno sport molto elitario. Fa chic a fine serata, mormorare: scusate, devo andare, ho una partita di padel! Molto più della banale, nazional popolare, trita partita di calcetto! Il padel è un hobby, quasi come il matrimonio. No, calma. Adesso mi spiego. Non sono ammattita.
C’era una volta una moglie. Lo so che una favola che si rispetti, non comincia così. Di solito una protagonista femminile c’è. È bella, buona, talvolta pure principessa. Ma non è sposata. Non ancora. Il matrimonio arriva dopo, alla fine della storia.
C’è stato un tempo, neppure troppo lontano, in cui essere moglie e madre, rappresentava un obiettivo rispettabile. Anzi, si trattava di un ruolo ambito. Le ragazze in età da marito, non si vergognavano né si sentivano in colpa di esserlo. Non trovavano nulla di sconveniente nell’idea di cercare un brav’uomo da convertire in marito. Poi, qualcuno ha cominciato a raccontarci che non era giusto. Che le principesse che ci avevano fatto sognare durante l’infanzia, erano delle povere sfigate. Che questa idea di doversi sposare era antiquata, irrispettosa delle meravigliose opportunità e aspirazioni di una donna veramente moderna. I figli poi, non parliamone nemmeno. Delle palle al piede, in grado di incastrare qualunque donna, anche la più talentuosa, a un misero destino, tutto compreso fra la cucina e il lavello.
Tante donne della mia generazione hanno cominciato a pensare che il matrimonio non fosse una vocazione, ma una fregatura. Che fosse la tomba non solo dell’amore (quello si diceva già da un po’) ma della auto realizzazione.
Fermiamoci un secondo a riflettere. Prometto che un giorno, se avrò tempo, lo farò: compilerò il piccolo glossario delle parole pericolose. Quelle che ci hanno avvelenato la vita, a noi donne. Lo farei anche adesso, se non fosse che mi mancano proprio quelle due o tre ore a settimana (come minimo) da dedicare alla causa. Già così dormo molto meno di quello che vorrei. Se mi prendo questo impegno, potrei rischiare di addormentarmi sotto la doccia. Per ora vi anticipo che, insieme a testessitudine, l’autorealizzazione è un’altra bella trappola per giovani donne.
Da un certo punto in avanti, hanno cominciato a raccontarci che l’unico modo per essere felici, fosse autorealizzarci. Ovvero realizzarci da sole. Il che è sorprendente, se pensiamo che milioni, forse miliardi di donne sono state perfettamente felici, pur senza averne mai nemmeno sentito parlare. Ma si sa, quelle erano poverette e abitavano il tempo antico. Per noi super moderne, l’autorealizzazione è un imprescindibile. L’equivalente dell’intramontabile girocollo in perle. Un mai più senza.
L’autorealizzazione significa più o meno questo: che puoi essere felice soprattutto o soltanto, se fai qualcosa di grande, che non includa gli altri. Nessun altro.
Per essere felice, tu hai bisogno solo di te stessa. Quindi non puoi assolutamente autorealizzarti amando un uomo. O crescendo i tuoi figli. Non può esserci nessuno che ti renda davvero felice, fuori di te. Perché la felicità è dentro di te, come il sebo dentro un foruncolo. Tutta auto-produzione, diffida del prossimo. Ti autorealizzi se vai sulla luna. Se guidi un consiglio di amministrazione. Se fondi un giornale, una galleria d’arte, un movimento politico. Quel che vuoi, purché ci sia solo tu in cima. L’autorealizzazione è l’incarnazione della testessitudine nel mondo. Tutto quello che conta è ciò che fai da te e per te.
Capita quindi che In una conversazione normale, qualcuno ti chieda: “io gioco a padel quattro sere e a settimana e tu? cosa fai nel tempo libero?” al che tu rispondi: “io figli tutti i pomeriggi, da dopo l’oratorio o la scuola, fino all’ora di andare a letto (loro). Poi frequento mio marito nella fascia oraria successiva, fino all’ora in cui va a letto (lui) e poi continuo a stirare o riassettare fino all’ora in cui svengo”.
Allora l’altro ti guarda, con quell’espressione un po’ così. Un po’ stranita. Come se tu avessi confessato chissà quale strano hobby. Inusuale, inconsueto. Una specie di piccola perversione che insomma, in fondo sei adulta e sono fatti tuoi, ma non contribuirà mai alla tua autorealizzazione. Chissà perché perdi tempo a frequentare questa gente che è la tua famiglia, invece di pensare a te stessa ad autorealizzarti.
Il fatto è che le persone in generale e le donne in particolare, non funzionano così. Le persone (e le donne) hanno bisogno di amare. Di essere amate. Questo vuol dire mettersi in relazione con gli altri, dare, sapere che la tua felicità dipende anche (soprattutto) da chi ti circonda. Essere moglie e madre non è uno spreco di tempo ed energie. Puoi lavorare (talvolta devi), pur preservando i tuoi affetti. Credimi, per me è stato così. Così continua a essere.
Invece, adesso il matrimonio e la famiglia sono diventati come il padel. Un hobby a tempo perso. Anzi, il padel in questo momento è persino più popolare del matrimonio. Comunque entrambe sono attività secondarie, a cui ti dedichi per riempire i pochissimi vuoti lasciati dalla tua sfavillante esistenza, che punta diritta all’autorealizzazione. D’altro canto le due cose: correre dietro una pallina o mandare avanti una famiglia, non trasudano certo testessitudine. Mica vincerai mai una medaglia olimpica a padel. E nemmeno come moglie o madre. Sono diversivi da adottare con moderazione. Bello il padel, o la famiglia, ma nei ritagli di tempo, ché le cose veramente importanti sono altre.
Ecco qui, la mistificazione è servita.
Così dimentichiamo che chi ama si riflette nell’altro. I fan dell’autorealizzazione, invece, hanno uno specchio che restituisce solo l’immagine di sé stessi.
seguimi sul blog: www.AnnaPorchetti.it.
il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu