A Natale, siamo tutti più buoni? E’ davvero così?
Oggi mi sono imbattuta in una frase, sulla bacheca di un’amica. Forse tecnicamente sarebbe un meme. Non chiedetelo a me! Sapete bene che ignoro gran parte di quello che succede nel dorato mondo della tecnologia e fatico a impararne la terminologia. Meme o no, la frase era divertente e recitava più o meno così: “è già arrivato il tempo in cui bisogna essere buoni? Perché io non sono ancora pronto”.
E’ tempo di avvento. Per la chiesa cattolica romana, lo è da domenica scorsa. Per la chiesa ambrosiana, lo è addirittura da due.
L’avvento è uno dei miei periodi preferiti dell’anno (gli altri sono: le vacanze estive e i saldi di fine stagione, ma per altri motivi che ora non è il caso di affrontare). Il significato dell’avvento è l’attesa della nascita del Signore e della nostra rinascita spirituale. Un atteggiamento in contro tendenza: in un mondo che non sa più aspettare, il fedele si mette in attesa. E, nello spirito di questa rinascita si dovrebbe essere più buoni.
Sì, lo so, bisognerebbe essere buoni sempre. Mica solo a Natale! È vero, ma insomma, se proprio non ci riesce di essere buoni sempre, almeno durante l’avvento, forse uno sforzo potremmo farlo. Sei settimane di avvento per la chiesa ambrosiana. Quattro settimane nel resto del mondo cattolico. Ce la possiamo fare. O no?
L’idea di cercare di essere più buoni a Natale ha radici antiche. Esisteva da prima che la pubblicità se ne impossessasse, per convincerci ad acquistare più panettoni o pandori, o entrambi. (A proposito, voi a quale categoria esistenziale appartenete? I mangia pandoro, i mangia panettoni o i mangia pane e salame?).
Nessuno può spiegarlo meglio, né in modo altrettanto semplice e diretto di San Paolo. Nella lettera ai Filippesi, l’apostolo delle genti dice: “rallegratevi nel Signore, il signore è vicino”. Questo già dovrebbe bastare a sollevarci il morale e rendere il nostro animo lieto. Eppure San paolo aggiunge un invito ancora più esplicito: “la vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini, il signore è vicino”.
Evidentemente lui sa che c’è gente un po’ dura di comprendonio. Come la sottoscritta, a cui bisogna mettere i sotto titoli, le note a piè di pagina, il commento passo passo. Così mi diventa chiaro che la nostra felicità a Natale non è dovuta al cenone. E nemmeno ai regali che riceveremo, di cui spesso non abbiamo bisogno e che talvolta nemmeno ci piacciono.
La gioia dipende dalla speranza nel ritorno di Cristo. Chi ha una aspettativa di felicità, è facile che sia anche affabile, gentile e generoso. Quando sei lieto, quando hai il cuore pieno di speranza, è più naturale aprirti verso gli altri. Essere felici e comportarsi bene, sono praticamente un tutt’uno. Per lo stesso motivo, le persone che si comportano male, spesso non sono cattive, ma solo terribilmente infelici.
Quindi per il credente rallegrarsi dovrebbe essere una conseguenza dell’avvicinarsi di Natale, così come essere più buono. Se non ci riusciamo (per lo meno non sempre) è perché non aderiamo all’avvento. Siamo distratti, concentrati su altri pensieri.
E succede a me per prima. Invece di predispormi all’accoglienza di Dio e degli altri, mi perdo dietro ai miei problemi. Ci sarà sempre qualcosa che non va al lavoro. Ci sarà qualche collega difficile, un capo che vuole ancora di più (comunque troppo), clienti incontentabili. Avremo sempre parenti e amici con cui c’è qualche divergenza di opinione o qualche motivo di tensione. E immancabilmente succede -almeno nel mio caso – che, fra la batosta della bolletta e quella della benzina, forse anche a questo giro non riesco a ricomprare la cassettiera (quella vecchia ha un cassetto sfondato e ha perso tutti i pomelli).
Come si fa a rallegrarsi e a essere più buoni, con tutti questi accidenti per la testa? Di nuovo viene in aiuto San Paolo. Non so a voi, ma a me da ripetizioni gratis da una vita, per fortuna! Lui scrive ai Filippesi (ma vale pure per i milanesi, per i romani, per i tarantini): “non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità, esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti”. Noi siamo impegnati a fare e disfare. Crediamo di poterci fare carico di tutti i problemi e magari risolverli. Per farlo, ci appesantiamo il cuore e ci perdiamo di vista l’attesa veramente importante!
Arriva il tempo di avvento e non riusciamo a essere più buoni. No, che non siamo pronti: quasi ci dimentichiamo che fra poco è Natale. Eppure, la soluzione la dà già San Paolo, quasi 2000 anni fa, è che eravamo distratti, se fossimo stati più attenti, l’avremmo capito subito. San Paolo dice: “la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.”
Capito? Inutile riporre troppa fiducia nella nostra intelligenza! Meglio affidare cuori e pensieri a Gesù. Lì saranno in buone mani. E l’idea di affidarci, ci toglie il peso dell’universo dalle spalle. Ci restituisce la dimensione dell’attesa fiduciosa. Sopra di noi c’è Lui. Lui che sa e che provvede. Lui che esaudisce le preghiere. Allora basta preoccuparsi. Basta angosce.
Adesso, con l’animo leggero, possiamo dedicarci all’attesa e alla speranza. Adesso sì che siamo pronti a essere più buoni.
seguimi sul blog: www.AnnaPorchetti.it.
il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu