Tutti pazzi per il Black Friday?

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Anche voi pazzi per il black friday?

In principio erano i saldi di fine stagione. I quasi migliori amici delle donne. Un po’ meno del portafogli, ma, si sa, non si può mica piacere a tutti!

Mia madre si preparava ai saldi con rigore scientifico. Prima che avessero inizio, lei aveva già stilato la lista completa degli acquisti. Perché, come ricorderete, prima funzionava così. Si comprava per necessità.

Poi è arrivato il black friday. All’inizio era un unico giorno all’anno di saldi irripetibili e di corsa all’accaparramento.

Visto che la gente comprava bene e un singolo giorno di shopping, non generava un volume di affari sufficiente, il concetto di black friday si è un po’ allargato. All’inizio si trattava solo di un week end lungo, che partiva il venerdì e proseguiva fino alla domenica. Poi, visto che l’appetito vien mangiando, si è arrivati ad una settimana di shopping frenetico e selvaggio. Un’orgia di acquisti, che si concludeva inesorabilmente il lunedì successivo, detto cyber monday.

Siccome il cyber monday diventava un blue monday, un lunedì triste, si è pensato di includere anche lui nel periodo di grazia degli sconti. Il risultato è: non rimandare a domani quello che puoi spendere oggi, così domani spenderai anche di più di oggi, ma forse meno di dopodomani.

Anche a immaginare che qualcuno sia stato sputato sulla terra da Marte, con a stento una foglia di fico, per coprire le pudenda, è difficile che ci possa volere una intera settimana di shopping, per procurarsi il necessario.

Ecco spiegato il mistero: le persone vogliono non più solo l’indispensabile. Cercano il grazioso superfluo. Scelgono il tanto poi magari mi serve. Non disdegnano il a quel prezzo era un peccato lasciarlo lì (l’occasione di shopping perduta è l’unico peccato di cui nessuno o quasi vuole macchiarsi).

Il black friday serve per coccolarsi, per soddisfare desideri, per togliersi una soddisfazione. Non c’è niente di nuovo, chi di noi non ha affrontato una delusione o una giornata no, comprandosi un rossetto, una sciarpa, un braccialetto? O addirittura un paio di scarpe, quando la situazione buttava proprio male e non c’erano altre consolazioni a portata di mano?

Il fatto è che questa annuale abboffata collettiva di acquisti, ormai così sistematica, dilatata, preannunciata, nasconde la nostra fragilità, sotto un velo dorato di consumismo.

Gli oggetti, da semplici cose che soddisfano un bisogno, finiscono col sopperire alla mancanza di qualcos’altro. Diventano portatori di valori, fosse anche solo il valore dell’auto-gratificazione.

Ho girato anche io per negozi, In uno di questi giri, mi sono imbattuta in lei. La spiegazione antropologica del perché il black friday è il termometro della nostra infelicità.

Sto parlando della felpa di Barbie, su cui campeggia la scritta self love. Una felpa orrenda, forse di una tuta oppure del pigiama. Impossibile a dirsi, oggi che lo smart working ha sfumato il confine fra il dress code casual e il pigiama sciccoso.

Diciamocelo, non esiste nessuna ragione sensata per cui una donna adulta, con responsabilità di lavoro e di famiglia, dovrebbe decidere di comprarsi una felpa con l’immagine della bambola con cui giocava trenta o quarant’anni prima.

Se non fosse per quel famoso slogan. Self love: amore per sé stessi. È in nome del self love che la mia generazione (forse non solo la mia) viene indotta a spendere, senza sensi di colpa, comprando cose inutili. Ci raccontano che il modo migliore per dimostrare a noi stesse che ci vogliamo bene, sia comprarci qualcosa (meglio se a caro prezzo).

E noi ci caschiamo.

E spendiamo.

Chi di noi rinuncerebbe a un autentico gesto d’amore per se stessa, seppure attraverso l’acquisto di un accessorio inutile? Come fare a meno dell’orrenda felpa rosa chewing gum con la bambola bionda assurta a simbolo del doveroso amore per noi stesse?

Credetemi, l’autostima è importante. Chi lo nega. È una grande alleata, nostra e della qualità della vita di chiunque. Ma la deriva della testessitudine no, è una trappola mortale.

Equivale a rinunciare ad andare incontro al prossimo, ammettere che non possiamo o non vogliamo fare posto a nessun altro. Perché noi bastiamo a noi stesse, ci vogliamo bene. Anzi, guarda che bei regali che ci facciamo da sole. Erano proprio i doni che desideravamo. Accipicchia, con noi stesse ci azzecchiamo sempre.

Nessuno si salva da solo. Il self love non ti salva da te stessa. È l’amore per un’altra persona, che ti salva da te stessa. L’amore per l’altro (meglio se maschio adulto, perché ormai lo sapete, io ho poca fantasia) diluisce l’egoismo. Dimenticando te stessa per volere il bene dell’altro, ti dai uno scopo più grande della testessitudine.

Ti impegni a costruire una relazione con una persona al di fuori di te. È lui che devi accettare, non solo te stessa. È a lui che puoi imparare a volere bene, oltre che a te stessa. Perché dare è più bello che tenere per sé. E non sarebbe nemmeno tanto difficile da capire.

Considerando che Dio Padre, che poteva tenersi il figlio tutto per sé, invece ce lo ha dato. Che il Figlio, che poteva vivere da re, ha deciso di dare sé stesso per gli altri. Se avesse praticato il self love, non sarebbe morto in croce per i nostri peccati. Invece, probabilmente avrebbe comprato una brutta felpa di Barbie al black friday. Secondo me, ci è andata meglio così.

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