Ogni maledetto lunedì

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È un nuovo maledetto lunedì.

Lo so che ci stanno fregando. Ho la matematica certezza che qualcuno ci rubacchi delle intere mezz’or, nel fine settimana. O faccia scorrere il tempo più velocemente. Perché altrimenti non si spiega. Questi due giorni – sabato e domenica – trascorrono a un ritmo velocissimo. In un batter d’occhio, ci ritroviamo ad affrontare il giorno più difficile, più in salita, più faticoso di sempre.

Un nuovo immenso, maledetto lunedì. Il lunedì ricomincia la settimana lavorativa. Io mi trovo regolarmente ad aver trasformato in realtà pochissimi dei buoni propositi del venerdì sera. In compenso, sono più stanca del venerdì sera.

Perché nel pacchetto fregatura del week end, oltre a esserci meno ore, secondo me c’è qualche idrovora nascosta, che ci prosciuga delle energie. Ogni maledetto lunedì, mi tocca tornare al duro lavoro, stanca prima ancora di iniziare.

In realtà, i miei sforzi lavorativi non impressionano granché le mie figlie. Anzi, proprio per nulla.

“Vabbé mamma, ma tu cos’hai da fare?”

“in fondo passi la giornata a telefonare e mandare le mail”

“e poi, stai seduta tutto il giorno”

Ecco l’opinione che le tre creature hanno dell’attività lavorativa che svolgo ogni giorno. E che contribuisce a sfamarle. Questo mi porta a sospettare che la mia credibilità genitoriale non sia quella che vorrei. E mica solo quella.

Nella mia lunga carriera di madre (quasi ventun anni e mezzo), devo aver fatto qualche errore. Non sono mai stata un’aquila in statistica, ma, ammettendo che possa aver sbagliato con la prole anche solo una volta alla settimana, fanno quasi mille e duecento errori.

Per questo, probabilmente, non sono riuscita a educare le figliole come avrei voluto. Non le ho rese perfette altezze reali, in grado di brillare in qualunque contesto sociale, di conversare con pacatezza di qualunque argomento e di essere sempre a proprio agio.

Sulla regalità ci sarebbero parecchie aree di miglioramento. No, Margherita, bofonchiare con la bocca piena non è previsto dal protocollo in vigore a Buckingham Palace.

Anche sul fatto di essere socialmente brillanti, si dovrebbe lavorare. Alice, diventare rossa come un pomodoro e fissarti la punta delle scarpe come fosse la cosa più interessante nella stanza non è il massimo della disinvoltura.

E tu Celeste, che mi superi in altezza di tutta una testa, com’è che poi ti vergogni di chiedere informazioni? Altro che discutere di qualunque argomento.

Se si crescono i figli più con l’esempio che con le belle speranze, io non sono un fulgido modello. Ma chi, io? Io dimentico tutto dappertutto. Faccio gaffes gigantesche, con una naturalezza non comune. Sono spesso affannata, in ritardo, costretta all’improvvisazione.

Devo dire, a mia discolpa, che una carissima amica, molto più ordinata, strutturata e diplomatica di me, mi ha confidato che anche lei non ha allevato i figli come avrebbe voluto. Eppure, i suoi, ve lo assicuro, sono dei piccoli lord.

Questa storia che il mio lavoro sarebbe, per le mie figlie, qualcosa di più simile a un hobby, dipende dal fatto che l’ho sempre affrontato con entusiasmo. Senza mostrare tracce di difficoltà e stanchezza. Difficoltà e stanchezza che a volte c’erano. Ci sono. Ci saranno. Ma che si diluiscono nella passione. A riprova che ai figli passa quello che concretamente viviamo.

D’altro canto, non esiste una tecnica infallibile per tirare su figli perfetti. E’ dai tempi antichi che la cercano. Senza successo. Il padre di Alessandro Magno assunse come insegnante per il figlio niente meno che Aristotele. Nerone ebbe come maestro Seneca. Eloisa studiò con Abelardo.

Eppure, nemmeno questo è davvero bastato.

Il primo passo da compiere, è dimenticarsi questa aspirazione alla perfezione. Più che figli perfetti, conviene puntare ad allevare figli felici (non che sia più semplice). Questo ci pone di fronte alla domanda: cosa è la felicità?

La felicità che gli dobbiamo non è accontentarli in tutto quello che chiedono. Ettolitri di coca cola e quintali di merendine, accesso no limits a TV e videogiochi, ozio infruttuoso per tutta l’estate non danno la felicità.

La vera felicità ha a che fare con la compiutezza. Risultato della nostra ricerca di senso. Siamo felici solo quando abbiamo trovato il senso del vivere. Senso del vivere che si traduce nel comportarsi degnamente, essere giusti, aiutare gli altri. In una sola parola: credere. Credere spinge a fare tutto il resto per bene.

Se riusciamo a trasmettere la fede, allora sì che abbiamo svolto il nostro compito di genitori. Anche fosse una fede imperfetta, piena di fragilità, non immune da cadute.

Questo è consegnare ai figli la chiave per la felicità. Quella vera. Impegnandosi, nell’impresa, ogni maledetto lunedì.

[la frase non è mia: https://baopublishing.it/prodotti/ogni-maledetto-lunedi-su-due-nuova-edizione/]

la vignetta è tratta da https://www.instagram.com/newyorkermag/

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