La perfezione non abita qui. Non nei miei vestiti, non nelle mie borse, nelle mie cartelle del computer, nella mia macchina. Non c’è traccia di perfezione nei miei pensieri, (non c’è mai stata) anche se mi piacerebbe.
Mi piacerebbe dire cose intelligentissime sempre. Mi rendo conto che, invece, non ci riesco quasi mai. E dire che mi ci impegno anche. Studio, ascolto gente più saggia di me, prego. Eppure, ogni giorno faccio i conti con una me stessa assai poco brillante. I miei limiti sono sempre lì a ricordarmi che sono un essere umano.
Per essere quella che vorrei, dovrei probabilmente fare qualche corso, riflettere sui massimi sistemi, fare amicizia con qualche personalità intellettuale che mi stimoli a migliorare. E pregare molto di più.
Poi, mi servirebbe più tempo. Proprio tempo vero, supplementare, ché a continuare a portare la sveglia indietro, un quarto d’ora alla volta, sono arrivata a esaurire le ore del giorno e a prendere a prestito qualcosa dalla notte.
Se ne avessi, potrei finire di leggere i libri che abbandono sulla mensola sopra il letto (dico che li colleziono, è molto più elegante). Libri che ormai hanno accumulato una quantità di polvere dello spessore di uno strato geologico.
E poi, potrei curarmi un po’. Togliere le pellicine dalle dita (con un’accetta, visto lo spessore). Fare quei meravigliosi massaggi tonificanti, con un gel alle alghe. Dicono che per la cellulite facciano prodigi.
Se solo avessi un’ora o due in più, riuscirei a riordinare l’armadio e a buttare qualche metro cubo di abiti che mi vanno stretti o non mi metto più. Porterei le mie figlie a teatro e alle mostre d’arte, per sentirmi almeno un briciolo all’altezza del mio ruolo di educatrice anche culturale. Il tempo proprio non c’è, invece c’è il lavoro, la spesa, le figlie da andare a prendere o ad accompagnare, i colloqui a scuola, la lavatrice, la lavastoviglie, il cambio delle lenzuola e degli asciugamani.
E poi, mi servirebbe più energia. Quella che c’è non basta. Malgrado mi riempia di caffè, barrette, cioccolato fondente (ma è per una buona causa), a un certo punto della giornata sono in riserva, come un’auto col serbatoio vuoto. Einstein diceva che nulla si crea e né si distrugge, ma evidentemente era un uomo e non una mono moglie e pluri mamma lavoratrice.
Altrimenti avrebbe visto quotidianamente che l’energia si crea e poi la mamma arriva distrutta a fine giornata. In effetti, dopo almeno diciassette ore continuative (certi giorni anche diciotto) di attività fisiche e mentali, è difficile che qualcosa si conservi.
E mi ci vorrebbe maggiore intelligenza. Ma io ho ormai solo una coppia di neuroni malfunzionanti, lenti e brontoloni. Quando uno dei due è sveglio, l’altro di solito sonnecchia. Averli tutti e due pronti a fare la loro parte, è un evento raro. Anche quando succede, i due non sono certo delle cime. Con quest’attrezzatura non si possono fare miracoli.
Di sicuro, la perfezione non abita da queste parti, non ci si è mai fermata, nemmeno per un rapido saluto.
Il tempo, le energie, la vitalità intellettuale che mi mancano e che servirebbero a mettere a posto tutta la mia vita, ad appianare tutte le difficoltà, a rendermi brillante, non li avrò mai.
Passiamo una buona fetta della nostra esistenza a pensare che la felicità dipenda solo dall’essere più brave, più belle, più intelligenti. Poi constatiamo che questo ideale di bravura, di bellezza, di capacità è fuori dalla nostra portata e dobbiamo fare pace con questa realtà. Accettarci per quelle che siamo. Dare un’altra forma alla felicità, costruirla coi mezzi che abbiamo.
Credo che dovrò rassegnarmi alla mia incolmabile inadeguatezza. A dire il vero mi ci sto affezionando. Forse non ho così bisogno di diventare quella che non sono. La mia vita va bene così. Lo sto scoprendo poco a poco, che non vorrei essere diversa, né stare altrove o vivere in un altro modo.
La mia vita è questa, fatta di corse e figli e marito e lavoro e incastri che sfidano le leggi della fisica. Fatta di piccole e grandi défaillance, di dimenticanze, di una imperfezione che, proprio grazie ai miei cari, ha acquisito un senso.
Senza tutto questo, avrei vissuto una intera vita solo per me stessa. Forse sarei stata più curata, più colta, meno trafelata. Quando al centro della tua vita ci sei solo tu, te la racconti, ti accomodi la realtà come più ti piace. Non hai relazioni che ti facciano da specchio, restituendoti alle tue oggettive debolezze. Se mi fossi scelta una vita diversa, se fossi vissuta esclusivamente per me stessa, avrei sprecato le mie energie per autocompiacermi. Senza creare nulla, al di fuori di me.
Invece, quando hai delle responsabilità verso gli altri, sei chiamata a fare bene. A essere coerente, credibile. A dare un esempio positivo, agli occhi di quei figli che imparano, imitando quello che ti vedono fare, più di quello che ti sentono dire (ché se a educare bastassero le chiacchiere, sarei un’autorità che Maria Montessori, spostati proprio!).
Se hai un uomo al tuo fianco, che hai promesso di amare e onorare tutti i giorni della tua vita, sei spinta a cercare di meritarti il suo rispetto e la sua considerazione. Proprio perché ti ama, non vuoi rischiare di deluderlo.
Le responsabilità familiari, che piacciono così poco all’epoca in cui viviamo, che ci predica di restare liberi e leggeri, proprio loro sono un’ancora di salvezza. Sono una roccia salda a cui aggrapparsi, in questo mondo sempre più volatile. La famiglia è una vocazione, ovvero una chiamata. Una chiamata ad essere felici.
Nel perderci a noi stesse e al nostro egoismo, ci ritroviamo. Scopriamo la gioia di dedicarci a quelli che amiamo. E anche se all’inizio poteva sembrare un vincolo, una catena, qualcosa che ti impediva di vivere la tua vita, poi scopri che è proprio quello che la rende così bella. La perfezione non abita qui. Per fortuna.

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