La risposta è dentro di te. E però è sbagliata

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La risposta è dentro di te. E però è sbagliata!

“seguo il mio istinto”

“ragiono di pancia”

“mi viene di fare così”

Si sentono sempre più persone, convinte di essere misura di tutte le cose, grazie alle loro percezioni extra-sensoriali o all’intuito o all’istinto. Persone in preda alla sindrome di Quelo.

Sapete cos’è? Correva l’anno 1997. Dello scorso millennio. Il comico Corrado Guzzanti inventò una caricatura di santone di una nuova divinità: Quelo.

Il Santone-Guzzanti arringava le folle con questa frase:

“c’è grossa crisi, c’è molta violenza, c’è molto egoismo, qua la gente non sa più quando stiamo andando su questa tera, qua la gente non sa più quando stiamo facendo su questa tera”

Per concludere con:

“La risposta è dentro di te… e però è… sbajata”

Se non conoscete il personaggio, potete vedere uno sketch qui: (https://www.youtube.com/watch?v=bT7d8FxveIk)

Qual è l’identikit di chi soffre della Sindrome di Quelo?

Si tratta di persone che avvertono un disagio emotivo, valoriale. E fin qui somigliano a tutti gli altri esseri umani, inclusi noi cristiani. Perché tutti, prima o poi, ci chiediamo dove stiamo andando e cosa stiamo facendo su questa terra. Persino i cattolici più fervidi sono stati sfiorati da questi interrogativi, almeno una volta nella vita.

La differenza non sta nelle domande, ma nelle risposte. Coloro che sono affetti dalla sindrome di Quelo, pensano di trovare soluzioni ai mali dell’anima unicamente con le loro risorse.

Di solito, dicono di non credere in Dio.

In compenso, credono che la natura creatrice, l’evoluzione, il fato, le coincidenze magiche, (chi o cosa li ha sputati su questa terra), li abbia corredati di tutto il necessario per affrontare qualunque tempesta della vita. Il famoso “dentro di loro” (che non si sa in quale organo si trovi: nel cuore, nella pancia, nel cervello, o in nessuno dei tre) è uno scatolone Ikea con tutti i pezzi necessari al montaggio di un vero essere umano.

Può capitare che, di tanto in tanto, smarriscano le istruzioni. O qualche assemblatore distratto, dimentichi di metterle nella scatola. Tuttavia sono certi che, con il loro intuito, riusciranno a montarsi lo stesso da soli, a trovare il posto giusto per ciascun pezzetto. Finché non inciampano nella “grossa crisi”. Allora devono fare i conti con la fragilità umana. Prima o poi, l’uomo (qualunque uomo), si scopre fragile, impotente. Allora cerca aiuto, perché capisce che non può cavarsela da solo!

Guzzanti-Santone a un certo punto lo dice:

“mica posso fare tutto io! Sai a che ora mi sono alzato stamattina?

Siamo stati creati da Dio a sua immagine e somiglianza. Portiamo in noi l’impronta di Dio (anche quando tentiamo di negarlo). L’esperienza del trascendente non è uguale per tutti. Anche chi ha la sindrome di Quelo la percepisce. Magari in modo confuso, ma la percepisce.

Per i Quelo-follower (i seguaci di Quelo) Dio è strumentale alle proprie necessità. Qualcosa che, in assenza di istruzioni, gli dia qualche dritta per facilitare l’auto-montaggio.

Conosco tantissime persone che coltivano questa idea del divino. Anzi, fanno attenzione e non lo chiamano nemmeno divino. Il termine è un po’ troppo impegnativo.

Anche se Quelo è una parodia, fotografa una tendenza vera. Molte persone si creano un Quelo personale. Una entità non troppo trascendente. Più che altro un problem solver a cui rivolgersi in caso di confusione. Una sorta di assistenza clienti para-divina, da usare solo in caso di bisogno (ma solo quando tutto il resto non funziona) e da mettere in stand by, appena l’emergenza è finita.

E il Quelo-follower, in ogni caso, è convinto di avercela fatta sempre da solo. Perché la risposta era già dentro di lui. Quelo lo ha solo aiutato a tirarla fuori.  

Dicevamo all’inizio che la differenza non sta nelle domande che la nostra condizione di umani ci pone, ma nelle risposte.

Perché il cristiano sa di avere disperatamente bisogno di Dio. Sa di essere amato e quell’amore lo vuole, lo cerca, lo invoca. Dio è una presenza forte nella sua vita. Il credente sa di essere solo un uomo. E le sue risposte, i suoi risultati, i suoi sforzi, sono tutti impregnati di umano e quindi di limitato, di imperfetto, di fallace. Il credente non ha voglia di contare solo su se stesso. Sa che non può farcela.

Il cristiano sa che la risposta non è dentro di lui e se anche se ci fosse, sarebbe purtroppo sbagliata.

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