Fidarsi è bene, affidarsi è meglio, potremmo dire, parafrasando un vecchio detto. Scrivo qui e oggi le mie riflessioni sulla Messa di ieri. Mi sono data la regola di non scrivere sul blog e ridurre in generale tutte le attività virtuali, per dedicarmi al raccoglimento e agli affetti familiari. D’altro canto, se persino nostro Signore al settimo giorno si riposò, a maggior ragione posso farlo io. E poi la preparazione del pranzo domenicale, per una massaia pugliese come me, ha un certo modesto grado di sacralità (laica) anche lui. È un rituale con le sue regole.
Nella Messa di ieri (di rito Ambrosiano: è bene specificarlo, perché le letture sono diverse da quelle del calendario romano), nella lettera ai romani, San Paolo parla di Abramo: “Saldo nella speranza, contro ogni speranza.” Frase monumentale, come spesso sono le parole dell’apostolo di Tarso.
Abramo ha cent’anni. Vede morto il proprio corpo e morto quello della moglie Sara. Sono sterili e non c’è speranza che diventino genitori. Non ci sarebbe oggi, malgrado l’allungamento della vita media, il miglioramento della salute, i quarant’anni che sono i nuovi venti, la vita che comincia a quarant’anni e il forever young, che è diventato la colonna sonora delle nostre vite. Non si potrebbe essere genitori oggi a cento anni (nemmeno con le più sofisticate tecnologie riproduttive), figuriamoci al tempo di Abramo, alcune migliaia di anni fa.
Quindi questa paternità è una mission impossible. Per lo meno secondo la logica umana.
Dio però gli ha fatto una promessa. Abramo sarà “padre di molti popoli”. Non si sa come, né quando. Ma è una promessa e Abramo di fida delle promesse di Dio. La sua speranza non viene scalfita dalle circostanze, dall’età, dal tempo che passa. Lui sa che Dio onorerà l’impegno di dargli una discendenza e alla fine così succede. Dice l’apostolo Paolo: “Di fronte alla promessa di Dio, Abramo non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede”.
La fede di Abramo è lì a dimostrare che è possibile credere in Dio al di là delle situazioni, al di là della ragionevolezza, al di là dell’evidenza. In questo Abramo è molto più bravo di noi, che con Dio spesso tentiamo di aprire un tavolo negoziale.
Magari lo preghiamo per questa o quella grazia. Chiediamo il suo intervento in questo o quel problema. Ma ora, Signore.
Devi farmi trovare lavoro subito, altrimenti il mutuo non lo pago.
Adesso devi farmi rimanere incinta, ché poi divento primipara decrepita.
Fra due, massimo tre anni devi farmi avere un altro figlio, ché prima è troppo presto.
Così vorremmo dettare condizioni all’opera di Dio. Gli facciamo la lista dei desideri. Vorremmo gestirgli l’agenda. Vorremmo decidere il come, il dove e il quando. Fare come se la grazia fosse qualcosa che metti nel carrello di Amazon, consegna rapida domani. Vogliamo il prime. E se l’attesa va oltre le nostre aspettative e desideri, subito ci innervosiamo.
Perché il miracolo tarda ad arrivare? Dio sembra distratto o troppo impegnato. Ci offendiamo, addirittura. Ma come, Signore, io ti avevo chiesto questa cosa qui. Ci tengo proprio.
Dai, non ti chiedo mai niente. Per una volta, potresti anche darmi quello che ti domando.
Che ti costa? Tu che sei onnipotente!
È un po’ come se non ci fidassimo di lui. Ci sembra di sapere da noi quale sia il nostro bene e vorremmo convincere Dio a farlo. Gli chiediamo di essere esecutore dei nostri piani. Invece, come insegna Abramo, fidarsi di Dio è bene. E affidarsi a lui è meglio.
Fidarsi della parola e affidarsi alla sua volontà. Firmargli, come dice la mia amica Rosalia, un assegno in bianco per la nostra giornata. Dirgli: “Dio, fai tu, quello che decidi tu è sicuramente il meglio”. Rinunciare al controllo e al giudizio sugli eventi della vita. Accettare che tutto concorre al bene. Affidarsi vuol dire consegnare la propria vita nelle sue mani. Confidando che sappia lui cosa farne, agendo per il vero bene.
Un vero bene che forse non coincide coi nostri desideri. Non gli assomiglia neanche un po’. Nemmeno da lontano. Magari è qualcosa che non sceglieremmo mai per noi.
Questo è l’atteggiamento dei veri credenti, dei santi, quelli che, come San Francesco, chiedono a Dio: “che vuoi che faccia?” e non “Signore, faresti per me questo e quello?”. Se già fidarsi è un gran bene, imparare ad affidarsi sarebbe il massimo.
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