Avviso di chiamata: non è una questione di linea telefonica, ma di santità.
Oggi è la festività di tutti i santi. Io purtroppo lavoro (sigh) in un paese estero, nel quale apparentemente non si celebra questo giorno glorioso (ri-sigh).
Sono a una fiera, brulicante di uomini d’affari in giacca e cravatta e donne manager in tailleur. L’atmosfera sembra molto lontana dal raccoglimento necessario in una ricorrenza così solenne. Nonostante ciò, non mi dimenticherò di festeggiare questa giornata così importante.
La festa di tutti i santi esiste per ricordare quei santi che non trovano posto nel calendario. Persone comuni, di cui forse in molti non conosciamo nemmeno le vite e le storie: (Ma il Signore sì, lui che conta anche i capelli sul nostro capo). Santi che si sono guadagnati la santità, pur rimanendo nell’ombra.
Perché si può fare.
Oggi si parla tanto di merito. Merito a scuola, merito nel lavoro. C’è chi è a favore, c’è chi è contro. Chi è a favore, sostiene il merito sia il criterio più desiderabile più utile: le responsabilità maggiori si devono dare a chi è più capace. Chi è contro, teme che il merito discrimini, che limiti le opportunità a cui la gente normale può accedere.
La meritocrazia umana può avere i suoi limiti e il suo lato oscuro. Sicuramente è difficile perseguirla, e può prestarsi ad essere strumento di esclusione.
La santità è cosa davvero affascinante. E’ l’espressione della meritocrazia divina.
E’ basata sul merito vero. Quindi perfetta. Non esclude nessuno, perché, come dice il Vangelo di Matteo, molti sono chiamati, buoni e cattivi, ma pochi sono eletti. Coloro che lo meritano davvero.
Perché il giudice è davvero imparziale e non influenzabile.
Per questo la santità è la condizione più autenticamente meritocratica.
La meno discriminante che si possa immaginare.
Non si diventa santi perché si è stati persone importanti, di famiglia ricca. O perché si è avuta un’ottima istruzione. O perché si è ricoperto un ruolo di spicco nelle gerarchie della chiesa. Ci sono santi fra re e papi, così come fra la povera gente. Ci sono santi coltissimi, dottori della chiesa, e santi semplici, quasi analfabeti. Santi di bell’aspetto e altri bruttini.
Per entrare nella comunione dei santi, non serve farsi fare una raccomandazione agli amici. Dio non chiede le referenze. Lui non legge nemmeno il curriculum. Non ne ha bisogno. Legge nel cuore degli uomini.
Lo diceva anche Gesù, che consigliava di pregare il Padre nel segreto della propria camera e di farsi belli anche durante il digiuno, per non darlo a vedere agli uomini. Tanto Dio vede anche nel segreto, e dà a ciascuno la sua ricompensa.
Il paradiso è pieno anche di questi santi piccoli piccoli, che non sono mai saliti alla ribalta dell’agiografia. Santi che non hanno scritto trattati di teologia e non sono stati raffigurati in bellissimi affreschi e di cui noi uomini non ricordiamo nemmeno i nomi.
Persone normali, come noi, che si sono guadagnate il loro posto in paradiso, senza gesti eclatanti, obbedendo a Dio e rispondendo alla sua chiamata là dove si trovavano, coi loro mezzi.
Il bello della storia, è che dà speranza a tutti. Tutti potremmo diventare uno di quei “tutti i santi”. Potremmo guadagnarci la santità, operando per il bene, pur passando gran parte della giornata nello spazio fra la cucina e il tinello.
Prendendo ogni giorno il treno dei pendolari.
Timbrando il cartellino due volte al giorno.
Senza salvare il mondo, anche solo rimanendo sposati con nostro marito (o con nostra moglie), rinnovando le promesse nella grazia di questo sacramento ogni giorno.
Attenzione all’avviso di chiamata! Non è una questione di linea telefonica, ma di santità. Anche la vita coniugale può essere cammino di santità.
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