Queste strane creature che sono fra noi!

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Queste strane creature che sono fra noi. Parlo di loro. Dei nostri figli.

Sabato mia figlia è stata invitata a dormire a casa di una sua amica. Oggi pomeriggio mi chiama la mamma della ragazzina, per dirmi quanto sia deliziosa mia figlia.

Sapete, l’orgoglio materno è come il riflesso pavloviano. Ve la ricordate la storia di Pavlov e dei suoi cani? Nei suoi esperimenti, tutte le volte che dava da mangiare ai cani, Pavlov suonava un campanello. Dopo un certo numero di volte, appena sentivano il campanello, i cani avevano l’acquolina in bocca. Anche se non c’era nessun pasto. Ogni volta che i cani ricevevano quello stimolo, gli aumentava la salivazione.

Ecco, l’orgoglio materno funziona proprio così.

Basta che ti parlino dei figli, che tu ti riempi di orgoglio. Anche senza un vero motivo. (Nessun cane è stato maltrattato per la redazione di questo esempio. E nemmeno una ghiandola salivare.)

Infatti, se fossi stata più lucida, avrei immediatamente ricordato che mia figlia, adolescente implacabile, non è deliziosa nemmeno quando dorme. Io continuavo ad ascoltare l’altra mamma parlarne benissimo. E faticavo a riconoscere mia figlia nella descrizione.

Ma come! Si è offerta di apparecchiare e sparecchiare la tavola? Ma se a casa, quando è il momento di dare una mano, è sempre irreperibile! La sua specialità sono i numeri di magia: apparizioni e sparizioni. Si materializza, con un tempismo straordinario, solo mentre sto servendo la cena. Poi sparisce, apparentemente ingoiata dal nulla, prima che io possa chiederle anche solo di passarmi il suo piatto, ormai vuoto.

Siamo sicuri che quella che descrive sia davvero mia figlia? Possibile che sia lei che ha messo in ordine la stanza, dopo aver giocato con l’amica? Starà la stessa ragazza che qui sparpaglia le sue cose ovunque? Eppure, quando io le chiedo di mettere a posto le scarpe abbandonate in sala, i borsoni da ginnastica, pieni di magliette e calzini maleodoranti, lo zaino coi libri di scuola, non lo fa mai.

Invece, mi risponde invariabilmente: sì lo faccio dopo. Frase che, anche se non parlo bene la sua lingua, ho ormai capito che in italiano si può tradurre più o meno con: aspetta e spera.

E poi, la mamma della sua amica mi assesta il colpo di grazia. “Si vede che è una ragazza sveglia, simpatica e con una buona cultura. Ci si può parlare di tutto!” Mia figlia? Quindi qualcuno l’ha sentita articolare una frase di senso compiuto? Una di quelle frasi con: soggetto, predicato, complementi a scelta? Accipicchia, fra poco il telegiornale farà un’edizione straordinaria. Come minimo.

Perché, quando chiedo a mia figlia come va, novantanove volte su cento ottengo come risposta un grugnito. Nei giorni più fortunati, quando è particolarmente comunicativa, le nostre conversazioni possono addirittura prendere questa piega:

“come stai amore?”

“in piedi”

“com’è andata a scuola”

“bene”

“cosa è successo oggi?”

“niente”.

Perché a scuola non succede mai niente. A basket non succede mai niente. In oratorio non succede mai niente. Quando esce con gli amici nemmeno. La sua vita apparentemente è fatta a forma di niente.

E invece adesso scopro che, quando è lontana dagli occhi e dalle orecchie materne, lei è simpatica, ride, scherza, fa battute.

Con lei si può parlare di tutto, se ne intende di musica (questo è merito di suo padre), di arte (questo è merito mio), di storia (di nuovo merito mio) di sport (tutta suo padre) e di politica (qui avrà preso dall’idraulico?).

Insomma, mia figlia, la ragazza più capace di silenzio dell’emisfero boreale, quando supera la soglia di casa, si trasforma in quella creatura socievole, disponibile, servizievole che ogni madre vorrebbe avere come figlia. Tutto quando io non sono lì e non posso godermi lo spettacolo. Come si suol dire, mai una gioia.

La strana creatura che vive con noi, non soffre di mutismo e la abulia permanenti. Non è sociopatica. Lo fa esclusivamente quando è in casa. Grazie per il privilegio accordatoci! .

D’altra parte, mia nonna diceva che il frutto non cade mai lontano dall’albero, come a dire che i figli, alla lunga, somigliano ai genitori. Ovvero, con un’altra frase che le era abbastanza cara: “quello che semini raccogli.” A parte tutte queste metafore agricole, nelle quali mi sto già incartando, la verità la troviamo nel nostro manuale di sopravvivenza preferito: il Vangelo. Chiara e semplice, come al solito (provare per credere).

Come diceva San Luca: Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. Con questo non voglio prendermi meriti esagerati, non sono chissà che modello di virtù femminile, da imitare.

Il messaggio di questa parabola del Vangelo, è che quello che insegniamo ai nostri figli, non va del tutto perduto. Anche quando ci sembra di versare parole nelle profondità di un pozzo nero, in realtà, qualcosa si àncora alle loro menti, ai loro cuori. E da lì, germoglia.

Come le piante di capperi che crescono sulle pareti di roccia scoscese.

Noi genitori a volte ci preoccupiamo di non aver trasmesso i nostri valori ai figli, di non averli cresciuti per bene. Finché ci stupiscono, mostrandoci che non è così.

Per questo non bisogna mai perdersi d’animo, mai scoraggiarsi, invece continuare a spiegare, a dare l’esempio, a indicare la strada.

Anche se sembrano non sentire o addirittura, fare tutto il contrario di quello che cerchiamo di insegnargli. Pure quando si comportano in modo da farci chiedere perché. Persino in quei momenti, loro qualcosa assorbono, rielaborano, metabolizzano e poi, lontano dai nostri occhi, lo tirano fuori. Quello che hanno visto vivere, lo vivono essi stessi.

Certo, non bisogna avere fretta di vederlo, ché le cose vengono fuori coi loro tempi e coi loro modi. A noi viene chiesto di avere pazienza, di pregare, di fare il tifo per loro. Intanto, di continuare ad accoglierli, mostrando di non prendersela per i silenzi, le spigolosità, le azioni di queste strane creature che sono fra noi. I nostri figli.

Questo vale per tutto: per l’educazione come per la religione. Io stessa mi dispiacevo del fatto che le mie figlie venissero a fatica con me a Messa. Poi ho scoperto che pregano e credono. Solo, non vogliono darmi confidenza. Sennò chissà che bottone che gli attacco.

strane creature figli

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