L’amore non è un quiz, non c’è la risposta esatta.

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L’amore non è un quiz, non c’è la risposta esatta.

Lo so bene, anche se mio marito continuo a fare domande difficilissime. Qualche giorno fa, gli chiedo: “Dovrei tingermi i capelli?”

Lui, senza staccare gli occhi dalla tv, domanda: “Perché?”

“Ne ho parecchi bianchi. Non voglio che si vedano. Se li tingo, tornano com’erano cinque anni fa. Mi fa sembrare più giovane”.

In una serie di Netflix, partirebbero i sottotitoli: “Ma perché vuoi tingerti i capelli? Non puoi tornare indietro di cinque o sei anni. A che serve fingere di essere più giovane?”

Un pensiero flash, che gli attraversa il cervello. Così rapido che lui nemmeno cambia espressione.

Anche se da oltre vent’anni continuo a fargli queste e altre domande, so bene che non può capire.

È un maschio.

Sono una donna di 50 anni e ho i capelli bianchi. Se anche li tingo per sembrare una quarantenne, sempre cinquantenne rimango. In effetti, ha ragione lui.

Mio marito pondera con grande attenzione il quesito. Infine, mi consegna un commento estremamente ficcante:

“Eh, beh”

E poi torna a concentrarsi sul video. C’è una delle mille mila partite più importanti della stagione. La vita è fatta di priorità.

Questo è stato un problema per me, i primi anni di matrimonio. L’incapacità di mio marito di sintonizzarsi sui miei dubbi, di comprenderne la profondità, di fornire in modo partecipativo risposte sostanziali, la scambiavo per mancanza di interesse. Talvolta ne ero ferita.

Poi ho capito. Uomini e donne danno un peso diverso a molte cose. Non a tutte, per carità. Ci sono argomenti di natura ecumenica, fra marito e moglie. La fede. I figli. Il vero mutuo soccorso nei momenti di difficoltà. Ma diciamocela tutta, i capelli bianchi non sono una difficoltà. Per questo lasciano mio marito completamente indifferente.

Lo stesso vale per me. Il suo muso lungo quando la Ferrari non sale sul podio o il Milan perde la finale di Champions (ammesso che ci sia arrivato) sono tragedie che non riescono a scuotermi.

Il marito non è una donna con la barba. La moglie non è un uomo coi tacchi a spillo. Ciascuno di noi porta la peculiarità più profonda, più essenziale: quella differenza antropologica che è essere maschio e femmina. Così siamo stati creati, lo dice già la genesi. Anche se ogni tanto rischiamo di dimenticarlo. Siamo maschio e femmina e quindi diversi. Questa diversità è enorme ricchezza.

A volte tutto sembra, meno che ricchezza. Somiglia più a una fregatura. Ci sono stati e ci saranno momenti in cui questa divergenza incolmabile di sensibilità, opinioni, approccio alla vita, ci causerà crisi di nervi o insoddisfazione (possibile che non capisca! Gli lancio segnali chiari da giorni!).

A volte proveremo un senso di estraneità che mai avremmo immaginato, noi che sognavamo di passare la vita a tubare come piccioncini. E a leggerci reciprocamente nel pensiero.

Eppure, proprio la diversità ci permette di completarci. A condizione di accettarla, senza metterla in discussione. Perché il vero amore non pone condizioni.

Non dice: “Caro, sarò felice di amarti, appena tu accetterai di accompagnarmi in profumeria. Per due ore starai lì ad aspettarmi pazientemente, intanto che scelgo una mascara.”

Oppure: “Mia adorata moglie, mi ami e per questo non vedi l’ora di venire a pesca. Domenica sveglia alle quattro. E poi, in mezzo all’umido, per tre ore consecutive. Guai a fiatare, ché i pesci si spaventano”.

Eh no. Così non funziona.

Pensate a Dio. Gli avete mai sentito dire, in qualunque parte della Bibbia, per bocca di un profeta, attraverso qualunque mistico: “L’umanità la posso amare, ma solo se diventa un poco più umana. Finitela di farvi la guerra, sconfiggete la fame nel mondo, bandite le ingiustizie. Solo allora sarete degni del mio amore”. E invece no. Lui lo sa che siamo peccatori. Eppure ci ama lo stesso. Ci ama a prescindere.

Certo, noi non siamo Dio. La nostra natura, ferita e indebolita dal peccato originale, ci porta ad amare in in maniera imperfetta, desiderando il possesso e il controllo sull’altro. Dobbiamo impegnarci a un sentimento più generoso, a mettere da parte la tentazione di prevaricare. Fare il bene dell’altro, prima di pensare al nostro. Dobbiamo amarli non come piace a noi, ma come hanno bisogno di essere amati.

Come ha bisogno di essere amato un marito? Inutile chiederglielo. Forse, nemmeno lui non lo sa. Come non lo sappiamo noi. Non esiste un corso di formazione in amore coniugale.

Ti dirò la mia.

Amare un uomo vuol dire rispettarlo. Permettergli di sbagliare, senza sentirsi giudicato. Apprezzarlo per quello che fa. O che tenta di fare. Anche se ci amiamo, niente ci è dovuto. Anche se siamo sposati, il matrimonio non è un rogito. Il marito non è una nostra proprietà. Non possiamo disporne a nostro piacimento. Siamo un’unica carne. Ma non ci appartiene.

Non dobbiamo cercare di cambiarlo. Arrivo a dire che non dobbiamo nemmeno avere la pretesa di capirlo.

Perché capire un uomo, per una donna, è quasi impossibile. L’amore non è un quiz, non c’è la risposta esatta.

Forse, dopo qualche decennio di vita in comune, si può arrivare a intuire qualcosa dell’altro. Ma mica tutto! Per questo, è bene fare un profondo atto di fede. In Dio. Affidargli questa creatura misteriosa dell’altro sesso, con cui vogliamo passare la vita. E affidare noi stesse. Perché quando il gioco si fa duro, ci vuole uno bravo. Anzi, il più bravo di tutti.

quiz non risposta

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