Siamo noi i cattolici della curva sud? Siamo noi gli ultrà della fede? E soprattutto, la maglia, dove si compra?
Così, a cinquanta anni suonati, mi addormento normale e mi risveglio militante della curva sud, nella squadra dei cattolici. Fra gli ultrà. Io che non sapevo nemmeno di esserlo. Di fronte a questa crisi di identità, se fossi un uomo, forse comprerei un’auto sportiva. Siccome sono una donna, mi consolerò invece con un fondotinta Les beiges di Chanel, per pelli mature.
A ciascuno le sue gratificazioni.
Per appartenere al club degli ultrà cattolici basterebbe davvero poco, non pensate che sia una comunità troppo selettiva!
Non c’è bisogno di intonare cori da stadio. Sono sufficienti i cori gregoriani. Invece delle 38 giornate di campionato, bastano le cinquantadue domeniche dell’anno liturgico, più le dieci feste di precetto del calendario. Si scende in campo la domenica, occasionalmente è valido anche l’anticipo alla Messa dei vespri del sabato sera (e no, non ci sono posticipi, lamentatevi col Capo).
E poi, si recitano 50 avemaria al giorno. E qui, la cosa, inaspettatamente, si complica.
Queste 50 avemaria sono l’estrema frontiera del fanatismo religioso. Almeno secondo alcuni ultra progressisti (o ultrà progressisti?). Una cosa bizzarra, se si pensa che, pochi anni fa, un gruppo di progressisti candidò a Milano una signora musulmana e velata. Apparentemente senza chiedersi se fosse una ultrà musulmana, una ultra musulmana o una semplice musulmana.
Non saprei dire se la signora fosse anti abortista, anti utero in affitto, misogina eccetera eccetera. Immagino però che pregasse cinque volte al giorno, rivolta verso la Mecca, visto che la preghiera è uno dei cinque pilastri dell’Islam.
50 avemaria al giorno battono cinque preghiere ? Di sicuro scandalizzano di più. Per lo meno i progressisti.
Fra gli ultrà cattolici così definiti, ci sono anche io. Eppure io non mi sento affatto una ultrà cattolica, (figurarsi, manco mi piace il calcio).
Allora, forse, sono una ultra cattolica?
Quell’accento è un apostrofo rosa fra due definizioni del menga. Nessuna delle quali mi appartiene.
Perché pure questa storia dell’essere ultra cattolica, non mi convince del tutto. Intanto, erano secoli che non sentivo usare superlativi, relativamente alla fede. Almeno dai tempi di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona: i cattolicissimi re di Spagna. Era il quindicesimo secolo, direi che è passato un po’ di tempo.
No, non mi sento ultra cattolica. Se è per questo, neanche super cattolica, né mega cattolica, ché questi accrescitivi li lascio volentieri ai supereroi della Marvel.
Piuttosto, se posso scegliere, preferirei definirmi una “fedele”. Fedele è una parola bellissima. E’ allo stesso un sostantivo (quindi un modo di essere) e un aggettivo (quindi un modo di divenire). Una cosa che avrebbe messo d’accordo Parmenide ed Eraclito, due filosofi di pensiero opposto.
Una perla rara, la fedeltà, in un mondo in cui non piace più quasi a nessuno e si pratica sempre meno.
Ma Dio non è tipo da coppia aperta. Lui ci ama di un amore trasparente, solido e assoluto. Costante e immutato. Persino di fronte ai nostri errori e difetti. Al di là della nostra capacità di meritarcelo. Per questo il suo amore è gratis, altrimenti sarebbe un baratto.
A questo amore così generoso, così inarrivabile, gli ultrà rispondono offrendo quello che possono: la preghiera quotidiana e fedele. Perché senza fedeltà, non c’è vero amore.
(e comunque, sull’importanza della preghiera, conviene dare retta a chi ne sa di più: https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-10/papa-angelus-preghiera-costante-medicina-fede-giaculatorie.html)
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